1797 l'anno di Faenza capoluogo - dall'amministrazione pontificia a quella napoleonica

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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1797 L'ANNO DI FAENZA CAPOLUOGO
DALL'AMMINISTRAZIONE PONTIFICIA A QUELLA NAPOLEONICA

Nino Drei


Nel marzo del 1796 le nuove idee che da decenni agitano le classi dirigenti ed intellettuali italiane e le speranze che da qualche anno gli echi lontani della Rivoluzione hanno acceso assumono il volto di un giovane e quasi sconosciuto generale ventisettenne e di una armata cenciosa, male armata ed indisciplinata: Napoleone Bonaparte e l'Armata d'Italia. La valanga francese avanza inarrestabile sbaragliando a Montenotte, a Dego e a Millesimo, dove il grande sconfitto è il generale Colli, italiano di nascita, ma arruolato sotto le bandiere austriache e "temporaneamente prestato" al Regno Sardo, le forze delle vecchie monarchie italiane ed europee. Il 15 maggio 1796 Napoleone Bonaparte entra a Milano e vi istituisce la repubblica, poco più di un mese dopo, il 18 giugno, entra a Bologna installandovi il governo repubblicano. La Municipalità di Faenza, sentendosi abbandonata al suo destino dalla precipitosa fuga delle truppe papaline, invia a Bologna, ad ossequiare Napoleone e ad indagarne le intenzioni, una delegazione della quale fanno parte il conte Francesco Zauli, da tempo in sospetto di esser giacobino, il conte Achille Laderchi, Giovanni Giangrandi e Vincenzo Caldesi.

Le truppe di Napoleone conquistano Faenza.
Secondo quanto si disse poi a Roma anziché chiedere clemenza i delegati faentini "... si posero in ginocchio pregando Bonaparte a fare di Faenza quello che fatto avea di Bologna e di Ferrara." II 24 giugno il generale Augereau, accampato con le truppe francesi fuori di Porta Imolese, riceve l'omaggio del Capo Priore Bartolomeo De' Pazzi che, immediatamente dopo, giura, con tutti i Consiglieri Comunali, fedeltà alla Repubblica Francese. II 25 giugno i faentini, obbedendo all'ordine francese, consegnano le armi: 94.000 in una città che conta, nel centra storico, poco più di quindicimila abitanti, donne e bambini compresi. L'esercito francese si impadronisce poi della cassa della tesoreria comunale, spoglia il Monte di Pietà, impone contribuzioni alla città. In estate i francesi si ritirano dalle Legazioni pontificie conservando però Castel Bolognese. Ma con le truppe della rivoluzione non si ritirano le idee che esse hanno portato e divulgato non più solo fra le classi dirigenti, ma anche fra il popolo minuto. Nell'ottobre, quando ormai il ritiro dei francesi sembra assodato, si scatena la reazione papalona con l'arresto e la deportazione a San Leo dei "giacobini" più in vista fra i quali figurano l'architetto Giuseppe Pistocchi, il conte Filippo Severoli, il conte Francesco Zauli ed il conte Achille Laderchi.



Proclama rivolto ai faentini per annunciare l'erezione dell'Albero della Libertà.
Reiterazione dell'ordine di consegnare le armi alle autorità.




Giovanni Giangrandi
Nel 1796 fa parte, con il conte Achille Laderchi, il conte Francesco Zauli e Vincenzo Caldesi, della delegazione inviata dalla Municipalità a Bologna per ossequiare il generale Napoleone Bonaparte; secondo quanto scrive da Roma Dionigi Strocchi, la voce ricorrente nella capitale Pontificia era che "... i deputati di Faenza si posero in ginocchio pregando Bonaparte a fare di Faenza quello che avea di Bologna e di Ferrara." Nel giugno dello stesso anno è fra gli ostaggi faentini prelevati dai francesi in occasione dell'insorgenza di Lugo. L'anno successivo è nominato vice presidente della Giunta per l'organizzazione della Guardia Civica, nel 1800 è condannato per "giacobinismo" e "proposizioni ereticali". Nel 1805 è Consigliere di III classe di Reda. Dopo la caduta del regime napoleonico è fra i cospiratori  condannati dal regime pontificio.
conte Francesco Zauli
Già prima che a Faenza arrivassero i francesi era sospettato a Roma di essere giacobino. Nel 1796 fa parte della delegazione inviata dalla Municipalità a Bologna ad ossequiare il generale Bonaparte. Nell'ottobre dello stesso anno viene arrestato come giacobino e l'anno successivo viene nominato membro della Municipalità giacobina. Nel 1799 è nuovamente arrestato dagli insorgenti e l'anno successivo condannato per "giacobinismo" e per "proposizioni ereticali". Nel 1805 è nominato Consigliere sia del Comune di III classe di Sarna che di quello di Granarolo.

L'amministrazione pontificia
Prima dei Francesi il Comune di Faenza era amministrato dal Consiglio Generale composto di 100 membri, 25 per ognuno dei quattro quartieri in cui era divisa la città. I consiglieri erano nominati a vita dal Consiglio stesso dietro domanda che gli aspiranti gli rivolgevano e le nomine dovevano essere approvate a Roma dalla Congregazione del Buon Governo. Le condizioni di eleggibilità per i consiglieri erano: avere 25 anni almeno, essere nativo di Faenza o abitarvi da vent'anni, essere di legittimi natali, non aver mai esercitato arte vile, possedere una rendita di 2.000 scudi (L. 59.165.000) almeno da dieci anni. Non potevano essere eletti consiglieri più di due individui di una stessa famiglia. II consiglio eleggeva tra i suoi membri quarantotto anziani, dodici per quartiere, i quali dapprima divisi in sei mute di otto membri ciascuna, presiedute da un priore, assumevano il governo della città di bimestre in bimestre. Ma in seguito gli anziani vennero divisi in dodici mute di quattro ciascuna, e il numero dei capi-priore venne innalzato a dodici.
Gli Anziani costituivano la magistratura suprema e avevano la residenza nel palazzo pubblico; secondo lo statuto di Faenza del 1527 essi dovevano trattare "gli affari e le cose occorrenti della comunità, ordinare per il tranquillo stato e regime della città e della Santa Chiesa Romana" e fare le spese necessarie della comunità. Ma quando si avevano a fare spese superiori alla somma di dieci lire bolognesi era necessaria l'autorizzazione del consiglio generale. Gli anziani pagavano i salari ordinari agli impiegati del comune coll'entrate del medesimo, non potevano proporre nel consiglio diverse spese nella stessa votazione, ma per ogni grossa spesa si doveva fare una singola votazione, non potevano nominare alcuno dei colleghi a qualche ufficio o ad "oratore" cioè a perorare nel consiglio come rappresentante del comune, una causa del comune stesso senza l'autorizzazione del consiglio. Durante il loro bimestre gli anziani potevano spendere a loro piacere, a vantaggio del comune, dieci lire bolognesi, togliendole dalle entrate del comune stesso.
II segretario doveva fare eseguire le deliberazioni e gli ordini degli anziani, sotto pena di perdere l'ufficio e il salario. Le deliberazioni del consiglio generale, come quelle degli anziani, dovevano essere approvate dal cardinale legato. Il consiglio eleggeva il podestà di Faenza e quello di Russi. II podestà, il magistrato più importante dopo gli anziani, aveva la giurisdizione in tutte le cause civili di qualunque somma fossero. Durava in carica tre anni e ogni semestre doveva dare sette scudi (L. 37,32) a quei consiglieri che la sorte designava a titolo di grazia di podesteria nel consiglio che si teneva nel giorno di S. Tommaso. Sotto di lui vi era il giudice d'appellazione per le cause superiori a dieci lire bolognesi, e il giudice di guardia o di prima istanza per le cause civili che non superavano le dieci lire, eletti pure dal consiglio. Il giudice di guardia o di prima istanza amministrava anche la giustizia criminale e dalle sue sentenze si poteva appellarsi entro soli quattordici giorni al tribunale collegiale d'appello, detto la Rota a Ravenna (composto di dodici cardinali, che si dividevano in tre sezioni di quattro membri, ciascuna delle quali decideva di una causa). Il consiglio nominava, sempre tra i suoi membri, i giudici del tribunale o uffizio del banco di Dio o del danno Dato, che giudicavano le cause per danni cagionati in campagna, per rifacimento dei danni e pagamento di pene; vi erano inoltre i membri degli Uffici o Banchi Buoni, detti volgarmente giudici del Bo e del Cavallo, dalle insegne dei banchi dove sedevano, il cui intervento era necessario per rendere validi i contratti e le obbligazioni dei pupilli minorenni, delle vedove e delle donne maritate per le quali occorresse l'autorità di un giudice.
Vi era poi il consiglio dei Cento Pacifici, i quali eleggevano da sé i loro colleghi, e si proponevano di mantenere la pace e la concordia nella città, aiutando il governatore, il quale aveva appunto questo ufficio. (Dopo la morte di Giulio II si risvegliarono in Faenza accaniti gli odi tra Guelfi e Ghibellini, tanto che il governatore non aveva forze sufficienti per mantenere l'ordine. Allora nel 1523 si unirono insieme cento cittadini amatori della pubblica quiete, e co' loro aderenti si offersero al governatore di difendere la città con l'arme da ogni insulto, mantenerla in pacifico stato, dar braccio alla giustizia e in qualunque modo ostare per l'estinzione delle sette de sediziosi e perturbatori della pace, che per ciò si fecero chiamare i Cento Pacifici).
Il consiglio nominava tra i suoi membri, ogni semestre, tre grascieri, che stabilivano il prezzo delle carni, dell'olio, del vino e dei mosti e avevano al loro servizio due impiegati salariati che invigilavano perché non avvenissero contrabbandi nella vendita di questi generi, il revisore dei conti della comunità e quello delle due abbondanze, olearia e frumentaria, che duravano in carica un triennio, quattro deputati incaricati di vigilare sopra i chirurghi e il barbiere dei poveri, due sindacatori di bimestre in bimestre per invigilare che gli impiegati del comune facessero il loro dovere e ogni anno, nel mese di giugno, gli otto conservatori del Monte di Pietà (due per ogni quartiere della città), il massaro, l'uditore, il notaro del Monte e la deputazione della compagnia di S. Gregorio, che era la Congregazione di Carità, composta di dodici nobili, tra i quali erano un canonico e un parroco. Oltre a questo complicato sistema di amministrazione, vi era in Faenza un governatore, eletto a Roma dalla Congregazione del Buon Governo, il quale doveva vegliare sul mantenimento della pubblica tranquillità. Doveva trasmettere agli anziani le deliberazioni e gli ordini del cardinal legato e invigilare sulla loro esecuzione, era il tramite per cui il legato esercitava la sua autorità. Qualunque risoluzione presa dal consiglio, come pure i prezzi dei generi fissati dai grascieri dovevano essere approvati dal legato. Le nomine dei consiglieri, degli anziani, dei magistrati e impiegati fatte dal consiglio, i provvedimenti finanziari, l'imposizione di nuove tasse e l'accrescimento delle esistenti dovevano essere approvati dalla Sacra Congregazione del Buon Governo, e l'approvazione veniva trasmessa al consiglio per mezzo del legato.

L'amministrazione napoleonica


"Bataillon Italique en 1789".


"Napoleon Line Infantry"
 • Fusilier, 43e de Ligne, 1792 
• Infantryman in campaign dress, 1795
 • Grenadier, Garde Nationale de Paris, 1792   Bryan Fosten.

Amministrazione Centrale
Sostituisce l'autorità del legato pontificio, possiede tutte le rendite già appartenute al pontefice, ai principi in guerra con la Francia, ai principi romani che hanno contribuito all'armamento delle truppe pontificie, deve nominare, ma solo in futuro, quando avrà imparato ad usare bene la libertà, persone conosciute per il loro patriottismo e la loro intelligenza per comporre le Municipalità, deve far arrestare i disturbatori dell'ordine pubblico, "e i falsi preti che s'immischiavano negli affari temporali, allontanandosi dai principi della religione."
Per provvedimenti di carattere politico o relativi al governo deve ricevere l'approvazione della Giunta di difesa generale della Repubblica Cispadana nella quale la Romagna deve avere un membro. La Centrale rimane a Ravenna fino al 18 aprile, poi la sua sede si trasferisce a Forlì, città più comoda per le comunicazioni, situata sulla via Emilia e quasi al centra della Romagna.

Municipalità
La Municipalità è formata da nove cittadini detti municipalisti. La carica di presidente spetta per dieci giorni ad ogni membro, ed è estratta a sorte. La Municipalità ha di sua competenza: il governo dei beni e delle rendite locali che in precedenza spettavano al comune, la direzione dei lavori pubblici e della polizia locale, il mantenimento e la sicurezza di strade, piazze e case pubbliche, il rilascio dei passaporti e dei certificati di civismo, il pagamento delle contribuzioni, la distribuzione dei biglietti d'alloggio dei militari, la vigilanza sull'amministrazione degli istituti di beneficenza, sulle prigioni, il riparto delle contribuzioni fra i cittadini, la sorveglianza dell'istruzione pubblica. Ma tutte le sue deliberazioni devono essere approvate dall'Amministrazione Centrale la quale può anche sospendere i municipalisti.

Giusdicente
Il magistrato che prima si chiamava Podestà si chiama ora Giusdicente e viene eletto dalla municipalità la quale deve farlo partecipe di tutte le risoluzioni di un qualche rilievo, ed egli deve farle eseguire e riferire su ciò che si oppone agli ordini e alle leggi. Come l'antico Podestà ha la giurisdizione nelle cause civili. Assiste alle riunioni della Municipalità e all'inizio ha diritto di voto, diritto che poi gli viene tolto.

Comandante di Piazza (Francese)
Suoi doveri sono: vigilare sullo spirito pubblico e prevenirne i movimenti, reprimere i moti antirepubblicani, e punirne gli autori, impedire le riunioni che possano disturbare la quiete pubblica, vegliare che si porti rispetto all'autorità costituita, che non si facciano giochi d'azzardo e che non avvengano abusi d'autorità verso i cittadini, vigilare sull'organizzazione della Guardia Nazionale, cercare di mantenere buoni rapporti tra l'autorità civile e la militare

Guardia Nazionale
La Guardia Nazionale è composta di cento cittadini scelti fra gli uomini dai 18 ai 50 anni nelle liste fatte dai parroci, per facilitare la formazione dei ruoli dei cittadini che devono prestarsi al servizio, la città viene divisa in quattro rioni, con le case numerate, ai quali se ne aggiunge un quinto costituito dai Borgo d'Urbecco. I domestici sono esclusi dalla Guardia Nazionale; gli ecclesiastici devono pagare una tassa per esserne esentati se non allegano un giusto motivo. In caso di malattia o legittimo impedimento uno della famiglia deve denunziarlo al segretario della giunta sotto le più rigorose pene in caso di contravvenzione. In servizio le guardie devono portare l'uniforme col pennacchio tricolorato al cappello, devono fare la guardia in piazza davanti all'albero della libertà, alle prigioni, alle porte della città, e girare di notte in pattuglia.
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