Palazzo Biancoli ora Archi

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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PALAZZO  BIANCOLI, ORA ARCHI

Corso Garibaldi 19

Da una facciata “normale”, ai preziosi gioielli dell’interno.

Di Roberto Marocci - Foto di Franco Poletti





Notizie generali

Grazie all’intraprendenza e agli scatti di Franco Poletti, nonchè alla cortese disponibilità del Signor Archi, proprietario del Palazzo, è possibile effettuare questa visita virtuale ed ammirare i gioielli contenuti  nell’edificio, che appartenne anche all’insigne letterato faentino Dionigi Strocchi (1762 – 1850). Di proprietà della famiglia Biancoli, il Palazzo venne ristrutturato a metà del Secolo XVIII. L’edificio fu adattato al gusto in voga all’epoca, secondo gli stilemi del Barocchetto ( Rocaille o Rococò ).  A cavallo dell’ultimo quarto del Settecento l’immobile fu acquistato dalla Famiglia Morri, che lo ebbe in proprietà fino al 1807, anno in cui passò a Dionigi Strocchi. Nel 1815 il Palazzo pervenne a Giacomo  Archi, i discendenti del quale ne sono tuttora i proprietari.
La particolarità più rilevante di Palazzo Biancoli sta nel fatto che in esso possiamo ritrovare ed ammirare alte espressioni architettoniche e decorative di un percorso che parte dal tardo Barocco e, passando per il Rococò ed il Neoclassico, giunge fino a mostrarci elementi  Liberty di primissimo Novecento.



Palazzo Biancoli, ora Archi.  

Prospetto su Corso Garibaldi



La Corte interna
L’Androne

La facciata esterna, l’androne, la corte interna
Il fronte prospettico, così come lo vediamo ancora oggi, è quello che venne sottoposto ad un rimaneggiamento verso la metà dell’Ottocento. Dal punto di vista architettonico la facciata si presenta assolutamente modesta e priva di spunti degni di un qualche approfondimento. Infatti, al piano terra è situato il portone carrabile che divide due serie di aperture per esercizi commerciali. Una fascia rompitratto a doppia modanatura sottende il Piano Nobile, segnato da sei finestre, appena scontornate da una semplice cornice rettangolare. Un ulteriore, ma più contenuto rompitratto scandisce il piano del sottotetto, dal quale si affacciano sei finestrotti riquadrati. L’intero prospetto, in alto, termina con una contenuta trabeazione, dal gusto tipicamente ottocentesco. Ma sarà l’interno a riservare inaspettate sorprese. Entrando attraverso il portone principale, lungo l’androne carrabile, a sinistra si apre una porta a vetri, degna di nota per il disegno dell’intelaiatura metallica, di gusto ed epoca spiccatamente Liberty. Dello stesso periodo è la grande vetrata policroma che, in fondo, conclude l’andito e fa uscire sulla corte interna. Sul cortile quadrangolare, ancora ricoperto da ciottoli di fiume, si affacciano tutt’attorno abitazioni, balconcini e rimesse, oltre a quelle che in origine dovevano essere stalle e servitù.Al centro del lato posteriore della corte è situato il portone di servizio, che permette l’uscita in Vicolo Cannone.





Lo Scalone
Ritornando all’androne, introdotta da una volta a crociera e da una colonna a tutto tondo d’ordine dorico, a destra si sviluppa una prima rampa di comodi gradini. Si giunge così all’ammezzato, dal quale si ha una visione complessiva della maestosità dell’intero ambiente, mentre la tromba dello Scalone si apre verso l’alto con notevole ampiezza volumetrica. Un pilastro, mensolato sulla sommità, e sulle cui quattro facce sono ricavate altrettante formelle alla bolognese, dà origine alla sontuosa balaustra marmorea, realizzata in robusti pilastrini a tronco di piramide rovesciata….., un arredo ancora di puro gusto Barocco. Un altro pilastro bugnato, in capo alla balaustra, segna l’arrivo sull’ampio ballatoio, dando origine all’ultimo segmento del parapetto. Sul ballatoio si affaccia una teoria di porte dipinte sotto lacca e scontornate ognuna da raffinati stucchi Rocaille; alcune di esse, con relative balaustre, sono simulate in affresco. Una fascia marcapiano divide in due il grande volume del vano, l’alta volta a botte è sostenuta da una serie di lesene di ordine corinzio. Il tutto per assecondare un equilibrio scenografico classicamente settecentesco. Rivolgendo tutt’attorno lo sguardo, fra infissi, architetture, decorazioni e simulazioni scenografiche, l’effetto dell’insieme è spettacolare!







Prima rampa dello scalone


Lo Scalone barocco e il Ballatoio


Il Controballatoio

Il Salone Centrale
Collocato al Piano Nobile, il Salone Centrale, di forma rettangolare, si sviluppa verticalmente in doppia volumetria, le cui due parti sono demarcate da un vistoso rompitratto plurimodanato.In questo sfarzoso ambiente dominano incontrastate le modalità dello stile Luigi XV, il Rocaille, per intenderci. Infatti le decorazioni, le lacche, i dipinti, il pavimento e le architetture che caratterizzano i due volumi del Salone sono rigorosamente coerenti con i dettati stilistici di metà Settecento. Le pareti perimetrali del volume inferiore sono scandite da porte, a due a due su ognuno di tre lati e da due finestre sul quarto lato. Questi otto infissi sono a loro volta inquadrati da cornici e sovrastati da stucchi a rilievo, rifiniti con ricercate decorazioni  Rococò. Ad intervallare le porte, sono posti tre dipinti, due quadrangolari ed uno di forma ovale, tutti riproducenti scene e paesaggi di gusto settecentesco. Fra le due finestre che si affacciano su Corso Garibaldi campeggia un grande stucco che riproduce, affiancati, gli stemmi delle Famiglie Biancoli e Naldi, unite nel XVIII secolo da stretta parentela. Il volume superiore del Salone è ornato da otto finte finestre con balconcini, inserite in altrettanti voltini a sesto acuto che si risolvono nella grande volta a cupola.




Il Salone centrale Il soffitto del Salone centrale Particolare di stucco sovraporta

Lo Studiolo di Dionigi Strocchi
Il grande letterato Dionigi Strocchi possedette il Palazzo dal 1807 al 1815 e, all’incirca nel 1808, commissionò all’amico Felice Giani, la decorazione del proprio studio. Lo Strocchi, che in precedenza aveva tradotto dal Greco Antico gli INNI di Callimaco (scrittore, poeta e storico, nato a Cirene nel 310 a.C.), chiese espressamente che gli affreschi fossero ispirati ai sette INNI, per la traduzione dei quali egli aveva raggiunto fama e prestigio. La stanza, situata al Piano Nobile, insiste sull’angolo posto fra Corso Garibaldi e Via Fadina. Essa, originariamente a pianta rettangolare allungata, divenne ottagonale attraverso la  smancatura dei quattro angoli ( il numero otto ricorre con frequenza nella simbologia Massonica ).Tralasciando la parete che ospita la grande finestra, il Giani affrescò la parte superiore delle restanti pareti  rappresentando, in altrettanti quadri, i sette INNI (il Lavacro di Pallade, la Chioma di Berenice, Inno ad Apollo, Inno a Delo, Inno a Cerere, Inno a Diana, Inno a Giove), alternandoli, quasi con dinamica ritmicità, ad altrettante cartelle riproducenti citazioni relative ai soggetti dei quadri stessi (es. la Caccia riferita a Diana).



La Chioma di Berenice.

Inno a Cerere. Inno a Delo.



Inno a Diana.

Inno a Giove.

Inno ad Apollo.


Il Lavacro di Pallade. Cartelletta con citazione riferita a Diana.
Parte delle pareti dello studiolo.

La struttura del soffitto asseconda l’andamento ottagonale della parte inferiore dello Studiolo. Due quadrati intrecciati, ottenenti l’effetto di una stella ad otto punte, scontornano una formella ottagonale nella quale è dipinta in affresco “Vittoria  presenta la Lira ad Apollo”. Quattro cartellette con scene sacrificali rifiniscono e concludono la decorazione della volta.Le decorazioni di fondo e le finte architetture pittoriche riconducono a modelli Pompeiani. L’attenuata intensità nella stesura cromatica, la contenuta tavolozza, insieme alla sinteticità grafica e stilistica sono una testimonianza di eccezionalità nell’opera del Giani, probabilmente volendo egli assecondare il desiderio ed il gusto raffinato di Dionigi Strocchi.


Formella al centro del soffitto, "Vittoria presenta la Lira ad Apollo".


Parte del soffitto dello studiolo.
 

Dionigi Strocchi
 di Roberto Marocci



Ritratto di Dionigi Strocchi da: "Album Giornale Letterario e Belle Arti, Tipografia delle Belle Arti, 1858, Roma".


Dionigi nacque a Faenza in Via del Grano 746, ora Via D. Strocchi 5, il 6 Gennaio 1762, da Elisabetta e Carlo Strocchi. Compì i primi studi nel Seminario Vescovile faentino insieme al fratello Andrea che vi rimase per poi diventare sacerdote. Nel 1783 si trasferì a Roma, dove si laureò in Giurisprudenza sotto la guida del Giureconsulto Vincenzo Bartolucci. Nella Capitale entrò in contatto con l’ambiente letterario romano, allora capeggiato da Ennio Quirino Visconti, del quale diventerà amico e ciò lo portò ad appassionarsi agli studi classici. Nel 1790 fu nominato “Scrittore di Lettere Latine” presso il Sacro Collegio. Tornato a Faenza nel 1797, aderì dapprima alla Repubblica Cisalpina, poi al Regno Italico Napoleonico, ricoprendo in entrambe le situazioni importanti incarichi amministrativi e politici. Nel 1803, anche con l’aiuto dell’amico Vincenzo Monti, ottenne l’apertura del Liceo faentino nel quale ebbe la cattedra di Eloquenza e ne divenne Rettore. Caduto Napoleone e reinsediatosi a Faenza lo Stato Pontificio, lo Strocchi si adeguò alla Restaurazione tanto che, eletto Papa Pio IX nel 1846, volle dedicargli un Inno. Fu nominato Senatore dallo stesso Pio IX nel 1848. Morì a Ravenna il 15 Aprile 1850 e fu sepolto nella Cattedrale di Faenza per volontà del Municipio.
Iscritto a tutte le maggiori Accademie d’Italia, Crusca compresa, fu autore di propri scritti originali, versi, elogi e discorsi accademici. Tra le sue tante opere letterarie, vanno principalmente ricordate le traduzioni dal greco degli “Inni” di Callimaco e dell’ “Inno a Venere” di Omero, quelle dal latino delle “Georgiche” e delle Bucoliche” di Virgilio, nonché la trasposizione in lingua italiana delle poesie di Ludovico I Re di Baviera.



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