Leonardo da Vinci e Sabba da Castiglione alla corte di Ludovico il Moro

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Leonardo da Vinci e Sabba da Castiglione
 alla corte di Ludovico il Moro

Miro Gamberini

In occasione dei 500 anni della morte di Leonardo, commentiamo ciò che Sabba da Castiglione - primo illustre cittadino (onorario) di Faenza - ebbe modo di scrivere del Genio di Vinci. Santa Cortesi (1943-2016) nell’introduzione della ristampa basata sull’edizione veneziana del 1554 dei “Ricordi ovvero Ammaestramenti” di fra Sabba da Castiglione, scrive:
L'anno di nascita e le vicende di vita fino alla giovinezza di Sabba non sono documentati: parecchie circostanze e indizi avvalorano però con ogni probabilità il 1480 [Quando nell'agosto 1505 Sabba vestì l'abito di cavaliere giovannita aveva già interrotto gli studi giuridici intrapresi a Pavia e aveva una competenza di «curioso d'antichità» cioè di archeologo dilettante. Per questo non si può pensare ad un ragazzo ma si deve pensare ad un giovane di oltre vent'anni.]; mentre certo è il giorno: lo stesso fra Sabba scrive: «Io mi nomino Sabba, perché venni in questo mondo di miserie e guai il giorno di S. Sabba abbate solennissimo, la cui festa è il 5 di dicembre ».


Fra Sabba da Castiglione.
Nacque fra Sabba a Milano da Giovanni della nobile famiglia Castiglione, dal cui ramo mantovano era nato il più noto Baldassarre Castiglione (1478-1529), autore del Cortegiano. Dunque milanese di nascita e di cultura intraprese poi gli studi giuridici a Pavia senza concluderli, come egli stesso scrive: «...Io feci bene a non dottorarmi in leggi perché... stato sarei un dottorello in troco lude (deformazione di in iure)... E poi perché gli avvocati e procuratori di nostri tempi per la maggior parte sono come li soldati di ventura, li qual, pur che il soldo loro gli corra, non curano punto che la guerra sia giusta o ingiusta, lecita o illecita ».  Non conosciamo le vere motivazioni per cui il giovane Sabba interruppe gli studi giuridici e quanto scrive è espressione di anni ormai molto lontani dalla giovinezza. Possiamo ipotizzare che fosse più amante delle lettere e dell'arte e che avesse appreso questo amore nella Milano sforzesca di fine '400, ove fervevano gli studi umanistici ed erano presenti uomini insigni in ambito artistico e letterario, e anche in Pavia, vitalissimo centro di studi per iniziativa di Ludovico il Moro: e lo stesso Sabba a documentare la sua frequentazione della «Libraria», la biblioteca pavese da lui descritta in questi termini: «Nella libraria di Pavia, una delle più celebri che allora in tutta Europa fossero, la quale si come in molti anni con gran fatiche, con gran diligenza e grandissime spese fu congregata da quelli illustrissimi e magnanimi signori Visconti, mi ricordo essendo io giovanetto, avere veduto... » Sabba studia a Milano in una città che Ludovico, amante delle lettere e delle arti, stava trasformandola, per rendere la sua corte la più splendente d’Italia. Con munificenza convince i più illustri scrittori, poeti e artisti a frequentare la sua Accademia degli Studi; Bramante, Perugino e Leonardo da Vinci rispondono al suo invito. Ricostruire i rapporti intercorsi tra Leonardo da Vinci e Sabba da Castiglione è problematico e difficile, mancano le  fonti documentarie che ne attesti i contatti.
Tutti i critici d’arte e gli storici sono convinti di una loro conoscenza, i luoghi per incontrarsi in una Milano frequentata dai maggiori artisti rinascimentali non mancano; Gian Francesco della Torre – questore delle entrate ducali - e Eraldo Trivulzio sono soliti organizzare nelle loro dimore milanesi serate di musica e discussioni artistiche. È qui che Sabba conosce Leonardo, questa convinzione ci viene confermata dalla lettura attenta del Ricordo CIX, dalla quale emerge che gli artisti, ivi citati, sono tutti da lui conosciuti e legati agli ambienti che egli aveva frequentato a Milano. Parla delle opere dei maggiori artisti del suo tempo, Donatello, Filippo Lippi, Piero della Francesca, Mantegna, Raffaello, Michelangelo e di Leonardo definendolo “uomo di grandissimo ingegno, e nella pittura eccellentissimo e famosissimo discepolo del Verrocchio”. Non tralascia però una critica, velata e ironica al Genio di Vinci quando scrive: «…pochi altri lavori si trovano di sua mano; ...riuscito [gli] sarebbe, tutto [ma] si diede alla geometria, all’architettura e all’anatomia». Dimostrando indirettamente però, quanto Leonardo fosse poliedrico e pieno di iniziativa. Leonardo arriva alla corte di Ludovico il Moro nel 1482, su consiglio di Lorenzo il Magnifico, patrocinatore della buona diplomazia fra le signorie italiane tramite la diffusione dell’arte. La città sicuramente appassionava Leonardo per la sua apertura alla scienza e alla tecnologia, in quanto stava iniziando una fase nuova delle sue ricerca e non aveva più stimoli nel contesto culturale neoplatonico della corte dei Medici, denso di filosofia e letteratura.

Si presenta a Ludovico il Moro con una lettera che tradotta in italiano recita:
«Avendo constatato che tutti quelli che affermano di essere inventori di strumenti bellici innovativi in realtà non hanno creato niente di nuovo, rivelerò a Vostra Eccellenza i miei segreti in questo campo, e li metterò in pratica quando sarà necessario. Le cose che sono in grado di fare sono elencate, anche se brevemente, qui di seguito (ma sono capace di fare molto di più, a seconda delle esigenze):
1. Sono in grado di creare ponti, robusti ma maneggevoli, sia per attaccare i nemici che per sfuggirgli; e ponti da usare in battaglia, in grado di resistere al fuoco, facili da montare e smontare; e so come bruciare quelli dei nemici.
2. In caso di assedio, so come eliminare l'acqua dei fossati e so creare macchine d'assedio adatte a questo scopo.
3. Se, sempre in caso di assedio, la fortezza fosse inattaccabile dalle normali bombarde, sono in grado di sbriciolare ogni fortificazione, anche la più resistente.
4. Ho ideato bombarde molto maneggevoli che lanciano proiettili a somiglianza di una tempesta, in modo da creare spavento e confusione nel nemico.
5. Sono in grado di ideare e creare, in modo poco rumoroso, percorsi sotterranei per raggiungere un determinato luogo, anche passando al di sotto di fossati e fiumi.
6. Costruirò carri coperti, sicuri, inattaccabili e dotati di artiglierie, che riusciranno a rompere le fila nemiche, aprendo la strada alle fanterie, che avanzeranno facilmente e senza ostacoli.
7. Se c'è bisogno costruirò bombarde, mortai e passavolanti [per lanciare sassi e 'proiettili'] belli e funzionali, rielaborati in modo nuovo.
8. Se non basteranno le bombarde, farò catapulte, mangani, baliste [macchine per lanciare pietre e 'fuochi'] e altre efficaci macchine da guerra, ancora in modo innovativo; costruirò, in base alla situazione, infiniti mezzi di offesa e difesa.
9. In caso di battaglia sul mare, conosco efficaci strumenti di difesa e di offesa, e so fare navi che sanno resistere a ogni tipo di attacco.
10. In tempo di pace, sono in grado di soddisfare ogni richiesta nel campo dell'architettura, nell'edilizia pubblica e privata e nel progettare opere di canalizzazione delle acque. So realizzare opere scultoree in marmo, bronzo e terracotta, e opere pittoriche di qualsiasi tipo.Potrò eseguire il monumento equestre in bronzo che in eterno celebrerà la memoria di Vostro padre [Francesco] e della nobile casata degli Sforza. Se le cose che ho promesso di fare sembrano impossibili e irrealizzabili, sono disposto a fornirne una sperimentazione in qualunque luogo voglia Vostra Eccellenza, a cui umilmente mi raccomando».

LEONARDO A MILANO

Leonardo si ambientò con fatica a Milano, oltre all’accoglienza non troppo calorosa della corte aveva difficoltà pratiche, soprattutto linguistiche, che gli impedivano di farsi capire nella lingua del popolo. Nei primi anni fu ospite di Giovan Ambrogio De Predis (1455-1509) pittore e miniaturista italiano di grandi capacità descrittive del dettaglio. A Milano vi rimane dal 1482 al 1499, e realizza i ritratti di Cecilia Gallerani (Dama dell’ermellino, Museo Nazionale di Cracovia), la sedicenne amante di Ludovico da lui commissionata. L’animale inserito nel dipinto, oltre a indicare il cognome della donna, simboleggia l’onorificenza dell’Ordine dell’Ermellino, che il Moro ricevette nel 1488 da Ferrante d’Aragona, re di Napoli. La Belle Ferronière (Musée Louvre, Parigi) è il ritratto di una Dama dagli occhi magnetici a conferma di quanto Leonardo nel “Trattato della pittura” aveva scritto “l’occhio è la finestra dell’anima”.
Durante il soggiorno Milanese, la ritrattistica fu l’argomento più ricorrente per Leonardo, che così poté esprimere ciò che aveva appreso durante gli studi anatomici di Firenze. Il suo particolare interesse erano i dettagli, i collegamenti tra fisionomia e “moti dell’animo”, cioè le emozioni di natura morale e psicologica che si riflettevano nell’aspetto esteriore del soggetto. Il Ritratto di musico, conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, è uno dei primi esempi di questa fase, e mostra un’attenzione quasi maniacale ai dettagli e all’aspetto psicologico espresso dallo sguardo sfuggente del soggetto. Il 25 aprile 1483 firma il suo primo contratto milanese per realizzare una pala per l’altare della Confraternita dell’Immacolata Concezione per la chiesa di San Francesco Grande, realizza così la Vergine delle Rocce (prima versione, oggi al Louvre). Alla stipula del contratto è presente in qualità di testimone Giovan Ambrogio De Predis. 

La Vergine delle Rocce,
Museo del Louvre, Parigi.

Nel rogito vengono definiti i compiti, gli allievi della bottega di Ambrogio, quelli più capaci, si occupano della coloritura e doratura della cornice lignea dell'ancona e delle predelle poste ai lati, il compito di intagliare il legno viene affidato a Giacomo del Maino (1469-1505), mentre Leonardo doveva dipingere la Vergine  col Bambino fra due profeti e alcuni angeli. Terminata la Vergine delle Rocce si dedicò ad alcune Madonne. Una fu quella che il Moro volle donare al re d’Ungheria Mattia Corvino nel 1485, un’altra si presume sia la Madonna Litta, l’esecuzione della quale fu delegata in gran parte agli assistenti del maestro. Nel 1488 inizia a lavorare al modello in creta del monumento equestre a Francesco Sforza, che concluderà nel 1493. Dopo anni di studi e ricerche sulla realizzazione di “dar forma a grandi immagini”, nel 1495 inizia il Cenacolo affrescando il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, che terminerà nel 1498. Non si limita alla solo pittura Leonardo a Milano, compie studi di urbanistica di architettura e di idraulica; il 13 gennaio 1490 cura la scenografia della “Festa del Paradiso”, opera musicale con testo di Bernardo Bellincini. In occasione del matrimonio di Ludovico il Moro con Beatrice d’Este nel 1491, disegna i costumi per il corteo. Carlo Pedretti (1928-2018), storico dell’arte tra i massimi esperti di Studi vinciani nel suo saggio “Leonardo & io”, scrivendo sugli avvenimenti milanesi asserisce che si possono «ricostruire con esattezza sulla base delle informazioni di cronaca, ma queste notizie sono state solo da un singolare testimone oculare riportate, e quindi meriterebbero di essere studiate dagli storici come fonte di sorprendenti informazioni sui costumi del Cinquecento». Riferimento a Sabba da Castiglione, i cui “Ricordi ovvero Ammaestramenti” vennero publicati in prima edizione nel 1546; poi per un totale di 25 ristampe editoriali fino al 1613, risultando uno dei libri più letti nel secondo cinquecento. Santa Cortesi scrive: nei «“Ricordi” emerge un orizzonte cronologico, costituito dall’arco stesso della vita del Castiglione da fine ‘400 a metà ‘500 tempo drammatico di sconvolgimenti su cui la coscienza umana e la fede di Sabba si misurano dalla morte di Lorenzo de’ Medici, dalla discesa dei Francesi in Italia, dal crollo della Milano sforzesca...». Sabba è testimone della cultura di palazzo registra aneddoti li riporta rileva vizi e comportamenti di corte, racconta dei giochi amorosi di Gian Galeazzo Visconti per “una gentildonna molto virtuosa e bellissima”. Nel già citato “Ricordo CIX” dal titolo “Circa gli ornamenti della casa” Sabba osserva e descrive con puntigliosa precisione, essendo stato testimone oculare, dell’ingresso il 10 settembre 1499 dei soldati francesi e della conquista di Milano.











Dama con l'ermellino

(Ritratto di Cecilia Gallerani),
1486 circa. Cracovia, Museo
Nazionale.


Belle ferronniére
(Ritratto di Isabella d'Aragona?),
1480-1494 circa.
Parigi, Museo del Louvre.











Ecco la sua testimonianza: «E chi si diletta di ornarle con tavole, quadri, istorie e ritratti di pittura, di mano di Fra Filippo Carmelita [Filippo Lippi], chi del Mantegna, chi di Giovanni Bellini, maestri ai loro tempi celebri e degni e bellissimi inventori. E chi di mano di Leonardo di Vinci, uomo di grandissimo ingegno, e nella pittura eccellentissimo e famosissimo discepolo del Verrocchio, come alla dolcezza delle arie si conosce, e primo inventore delle figure grandi tolte dalle ombre delle lucerne, ancora che dal Cenacolo di S. Maria delle Grazie di Milano in fuora (opera certamente divina e per tutto il mondo famosa e celebre) pochi altri lavori si trovano di sua mano, perché quando doveva attendere alla pittura, nella quale senza dubbio un nuovo Apelle riuscito sarebbe, tutto si diede alla geometria, all’architettura e anatomia. E oltre ciò si occupò nella forma del cavallo di Milano, ove sedici anni continui consumò: certo che la dignità dell’opera era tale che non si poteva dire avere perduto il tempo e la fatica. Ma la ignoranza e trascuraggine di alcuni (li quali, sì come non conoscono le virtù, così nulla l’estimano) la lasciarono vituperosamente roinare, e io vi ricordo (e non senza dolore e dispiacere lo dico) una così nobile e ingegnosa opera fatta bersaglio a balestrieri guasconi». La lettera di presentazione di Leonardo inviata a Ludovico è priva di data ma grazie alla testimonianza di Sabba, quando scrive “si occupò nella forma del cavallo di Milano, ove sedici anni continui consumò” è possibile stabilire con certezza l’arrivo di Leonardo a Milano, ossia tra  il 1482 e 1483. Quindi Leonardo appena arrivato a Milano è coinvolto nel processo di costruzione del monumento in onore di Francesco Sforza, ma la furia dei “balestrieri guasconi” vi pose fine distruggendo il modello in creta. Leonardo molto riservato nello scrivere della sua vita privata lascia una piccola nota nel Manoscritto L. (f.1r) «...il duca perso lo stato, la roba e la libertà e nessuna opera si finì per lui». A dicembre Leonardo lascia Milano. Ma un’altro passo del Ricordo merita di essere commentato quando Sabba scrive: “primo inventore delle figure grandi tolte dalle ombre delle lucerne”, è plausibile che nel tracciare i personaggi del Cenacolo in proporzioni superiori al normale Leonardo si sia basato sulla proiezione di sagome di cartone poste davanti a una fonte di illuminazione tale da proiettare un’immagine sulla parete da dipingere, che poi il Genio di Vinci riempe di colore e sfumature.

Giuseppe Diotti, La corte di Ludovico il Moro (1823), Museo Civico, Lodi. (1)
Attento a rappresentare la scena dipinta come vera. Basandosi sugli studi “sull’ottica ombre e lumi”, “occhio e visione di oggetti”, “studi dell’occhio e dei raggi luminosi” e “studi sulla proiezione della luce e dell’ombra” da lui descritti nel Codice Atlantico, conservato a Milano nella Biblioteca Ambrosiana, e nei Manoscritti D e C, conservato a Parigi all’Istitut de France. Nel “Ricordo CXX del Capitano d’Armi” in cui Sabba scrive dell’ingresso di Luigi XII in Milano nel 1499, «Se mi domanderete della Cavalleria francese, la plauderò assai, anzi dirò, se nazione è al mondo che ben comparisca a cavallo, è la Francese; essa compare ben armata di armi bianche et limpide, con sopraveste ricche e pompose, con la lancia in mano, con lo stocco al fianco, e con la mazza all’arcione, et alcuna volta con qualche fiasco di buon vino per non morir di sete…». Questa descrizione di Castiglione, rimanda agli schizzi del Manoscritto H., ove cavalli al traino di carette militari per il trasporto di munizioni e cavalleria in transito o in parata, vengono da Leonardo disegnati accanto a nuovi sistemi di briglie e morsi, e denotano come Sabba sia un testimone del suo tempo e come scrive Santa Cortesi lo «...si può considerare vero iniziatore di una letteratura dedicata allo studio dei mores, cioè dei costumi, del comportamento e della natura degli uomini...».





Leonardo appena arrivato a Milano pensa di realizzare il monumento con un cavallo impennato con Francesco Sforza in armatura che lo monta trionfante travolgendo un nemico come viene rappresentato in questo disegno del 1485-88 conservato a Windsor (Royal Collection).

Sistema per la legatura e l'ancoraggio dell'armatura della forma, e forma di fusione della testa e del collo 1491-93.
Madrid Biblioteca  Nacional.







Disegno di Leonardo da Vinci per la realizzazione di un monumento equestre
con cavallo dal passo superbo e maestoso. Castello di Windors, Collezione Reale.

Nello stesso “Ricordo” Sabba menziona nuovamente Leonardo in relazione a una “mappa”, che il Genio di Vinci avrebbe disegnato per Giovan Francesco Gonzaga, e della quale per “vari indizi di varia natura ed entità” Carlo Pedretti, sostiene essere celata in qualche archivio e che attende solo di essere ritrovata poiché “...gli indizi, prima o dopo, hanno filo diretto coi documenti”. Sabba per dimostrare quanto sia utile per un condottiero di ventura l’uso della cartografia, per conoscere il campo di battaglia argomenta:  «E circa ciò non lascerò di dire che ritrovandomi io nell’anno 1515 per la felice memoria di Leone X, in Verona con il signor Marco Antonio Colonna, si virtuoso e compito cavalier come in quei tempi in tutta Italia, fosse, e certamente io credo se la invidiosa fortuna a questo più lungo corso di vita donato avesse, veniva un delli maggiori capitani di guerra che mai fosse nell’antichissima e nobilissima casa Colonna, mi fu mostrata da lui una Lombardia in più frammenti [cioè sezioni], la qual mi disse averla avuta dal Signor Marchese di Mantova di quel tempo, Giovan Francesco Gonzaga di felice memoria, certo capitano dignissimo e molto magnifico, ove erano molto sottilmente dipinte tutte le città castelli e ville, li fiumi, li torrenti, li laghi, le montagne e le selve famose della Lombardia, molto diligentemente misurata e compassata [cioè impostata con la bussola], di maniera che quando si ragionava del sito della Lombardia, il buon capitano (che mai non v’era stato se non allora) meglio divisava di esso che nessuno altro che in quello nato, allevato e invecchiato fosse». Secondo il Pedretti la mappa della Lombardia “molto diligentemente misurata e compassata” è opera di Leonardo il quale proprio in quel tempo aveva ricevuto da “Francesco Gonzaga il progetto di una replica della Villa Tovaglia presso Santa Maria a Montici fuori Firenze con l’idea di edificarla nei pressi di Mantova. Ancora da certificare storicamente come la mappa è pervenuta al Colonna, ma questo “Ricordo CXX” ci descrive un Leonardo architetto e cartografo, che ci rimanda  allo schizzo del porto di Cesenatico, e alla mappa di Imola.
Note:

1) L’opera in questione si intitola “La corte di Ludovico il Moro”, olio su tela di 102 x 150 centimetri, realizzato dall’artista cremonese Giuseppe Diotti (1779-1846) nel 1823 e acquisito nella collezione del Museo Civico di Lodi per donazione da parte dei conti Cavazzi della Somaglia.
Il quadro venne esposto nel 2011 presso la Reggia di Venaria Reale a Torino nella mostra “La bella Italia. Arte e identità delle città capitali”, organizzata nell’ambito delle celebrazioni ufficiali per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Giuseppe Diotti dipinge seduti l’uno accanto all’altro Ludovico Sforza e Beatrice d’Este sua moglie. Ludovico ha appena ricevuto dalla mano di Leonardo da Vinci una carta, che tiene distesa sopra i ginocchi. In essa è disegnata l’ultima Cena che il grande artista si appresta a dipingere nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Il principe richiama l’attenzione della Duchessa, la quale china lo sguardo e se ne compiace, benché la lettura delle poesie del Bellincioni, in cui è assorta, la tengano contemplata. Leonardo ritto in piedi alla sinistra del Moro, ed arieggia in tutto quello splendore che gli attribuisce il Vasari. Il Cardinale Ascanio Sforza fratello di Ludovico seduto accanto a Beatrice, lo ascolta col viso alzato verso Leonardo e in atto di nobile ammirazione.
Vicino a Leonardo alla sinistra del Duca, è Bernardino Corio che tiene sotto il braccio sinistro la sua “Historia patria” di Milano.
Rivolto verso il fondo del quadro egli porge orecchio a Bernardo Bellincioni, cinto da una corona d’alloro, che gli sta parlando. Sullo sfondo al fianco del poeta è il maestro di musica Franchino Gaffurio con gli occhi chini su una carta, la mano destra coll’indice spiegato verso l’orecchio come chi medita un accordo musicale.
Alla destra di Beatrice, l’architetto Bramante mostra e descrive un suo progetto al matematico Fra Luca Pacioli, francescano dell’ordine dei Minori, il quale ascolta medita e ragiona sulle spiegazioni che sta ricevendo.
Un paggio con rispettosa attenzione fa entrare Bartolomeo Calco segretario di Stato che tiene alcune carte in una mano e una penna nell’altra.
Due eventi collaterali su Giuseppe Diotti sono stati allestiti a Cremona e Casalmaggiore il 2 dicembre 2017, a cura di Francesca Valli e Vittorio Rizzi, durante la conferenza di presentazione della Mostra sul quadro della “Corte di Ludovico il Moro”, così si sono espressi:
“...la grande tela di soggetto storico rinascimentale presenta molteplici motivi d’interesse per i numerosi personaggi raffigurati (fra cui Leonardo e Bramante) e per la possibilità di essere interpretata come allegoria del momento storico in cui Diotti viveva, apprezzabile per attente fisionomie, colori preziosi e sfoggio di costumi, Diotti attinge a una pluralità di fonti iconografiche, servendosi inoltre della preziosa consulenza dei suoi coltissimi amici”.

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