L'aspetto urbano di Faenza ai tempi di Leonardo

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Storia Medioevale


L'aspetto urbano di Faenza ai tempi di Leonardo

di Stefano Saviotti

Ai primi di settembre 1502 Leonardo da Vinci probabilmente passò da Faenza, diretto verso Imola. Quale impressione trasse dalla nostra città? I suoi appunti non lo rivelano, ma è possibile per noi ricostruire un'immagine abbastanza definita di Faenza agli inizi del XVI secolo. Per giungere a questo bisogna però ripercorrere la storia urbanistica della nostra città, a partire dal fragile insediamento di legno e paglia dell'alto Medioevo, soggetto a ripetute ricostruzioni dopo incendi ed alluvioni. Dopo il 1100, la rinascita del centra urbano come punto di riferimento e guida del territorio circostante favorì una maggiore ricchezza, e la graduale costruzione di edifici più solidi e durevoli. Nacquero così le case a schiera, destinate al popolo minuto, e i palazzotti a corte per la nobiltà e la borghesia più agiata. Le trasformazioni dei secoli seguenti hanno quasi cancellato lo schema originario di queste tipologie, tuttavia in base ai pochi e frammentari esempi rimasti si può tentare di ricostruirlo con una buona approssimazione. Un'altra tappa fondamentale della rinascita urbana medioevale fu la formazione del centro civile della città, l'odierna piazza del Popolo. Nel corso del Duecento, lo slargo formatosi all'incrocio dei quattro corsi per far posto al mercato prese gradualmente il sopravvento sull'antico Foro romano, che si ridusse a semplice cortile del Palazzo del Podestà e fu infine soffocato da edifici di ogni genere. Sul lato opposto della piazza sorse invece il palazzo del Capitano del Popolo, poi della Signoria manfreda, che rafforzò il ruolo del nuovo cuore della città medioevale.


Romolo Liverani (1809 -1872), Borgo Durbecco visto sotto le mura della Polveriera.
Disegno a penna e acquarello,  Pinacoteca Comunale di Faenza
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Romolo Liverani (1809 -1872), Veduta del primo chiostro dei Servi.
Disegno a penna e acquarello, Biblioteca Comunale di Faenza
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Sotto i Manfredi, Faenza fu racchiusa da una nuova e più ampia cinta di mura, ma è nel periodo di Carlo II e Galeotto che la città vide un periodo di grande rinnovamento urbano, grazie all'influenza politico e culturale toscana. Carlo II provvide ad ingrandire la piazza, e ad abbellirla con il primo tratto di un doppio loggiato. La forza di quel progetto fu tale da attraversare i secoli, e spingere i posteri a completarlo, fino ad ottenere una delle più belle ed armoniose piazze d'Italia. II vero capolavoro dell'arte rinascimentale a Faenza è però la Cattedrale, opera dell'architetto toscano Giuliano da Maiano, fortemente valuta da Carlo II e dal fratello, il vescovo Federico. Nonostante il mancato completamento della facciata e le alterazioni interne ed esterne subite, essa rappresenta la massima eredità lasciataci dai Manfredi. Un altro monumento di grande rilevanza, ma quasi dimenticato, è la chiesa ottagonale di Santo Stefano Vetere. Oggi quasi nascosta da costruzioni ottocentesche che le si sono addossate, e difficile immaginarne l'originario splendore. La chiesa parrocchiale di S. Emiliano, totalmente scomparsa in epoca napoleonica, ospitava invece un capolavoro di scultura: l'Arca con le reliquie del Santo. Essa fu smembrata, e solo alcuni dei nove bassorilievi che la ornavano furono ricomposti in Duomo, mentre altri sono sparsi tra Forlì e Parigi. In una quieta piazzetta aI termine di via Torricelli sorgeva invece S. Michele, autentico scrigno di opere d'arte rinascimentali ora sparse nei più importanti musei del mondo. II periodo d'oro della Faenza rinascimentale fu purtroppo breve: nell'anno 1500 arrivò Cesare Borgia, a porre fine alla Signoria manfrediana ed alle sue ambizioni di rinnovare la città.

Le mura manfrediane
Ai tempi di Leonardo, chi si avvcinava ad una città notava, per prima cosa, la cinta muraria. Nel corso della sua storia, Faenza fu certamente racchiusa da almeno due cerchie difensive. La prima, testimoniata da un documento dell'anno 977, fu costruita con i materiali recuperati dalle rovine degli edifici romani, e racchiudeva un'area più piccola dell'attuale centra storico. La prima espansione documentata risale al 1224, nella zona di via Pascoli. Per ristabilire il potere imperiale, nel 1241 l'Imperatore Federico II assediò Faenza, ed una volta che l'ebbe presa fece demolire le mura e costruire una rocca vicino a S. Agostino. Affrancatasi dall'Impero, Faenza ricostruì le sue difese mediante uno steccato, che andò ad incorporare anche alcuni borghi sorti nel frattempo lungo le vie in uscita dalla città. Nella prima metà del Trecento, il ponte sul Lamone fu fortificato tramite la costruzione di due torri da parte di Francesco Manfredi. Questo monumento tanto singolare divenne il simbolo della città fino al suo crollo, avvenuto a causa di una piena nel 1842. Alla fine del XIV secolo, la Rocca dell'Imperatore fu sostituita da una nuova fortificazione nell'area dell'attuale Ospedale Civile, e pochi anni dopo i Manfredi iniziarono la costruzione di una cinta muraria molto più ampia e moderna. I lavori terminarono solo verso la metà del Quattrocento, e tempi tanto lunghi si spiegano con la grandezza dell'opera: un perimetro di 5320 metri, trentasei torresini semicircolari, cinque torrette rompitratta e sei porte.


Romolo Liverani (1809 -1872), Rocca di Faenza ora ospedale come si trovava nel 1631.
Dipinto, Pinacoteca Comunale Faenza.

Romolo Liverani (1809 -1872), Veduta suburbana della chiesa di S. Ippolito Faenza.
Disegno a penna e acquarello. Pinacoteca Comunale di Faenza.



 Le mura Manfrediane e la Rocca subirono gravi danni durante l'assedio di Cesare Borgia nel 1501. La quiete politico seguita all'instaurazione del dominio pontificio fece scemare le necessità difensive, e la cerchia muraria assunse nuovi compiti, che richiesero anche continui restauri e parziali ricostruzioni. I torresini, rivelatisi col tempo troppo fragili per le armi moderne, furono riempiti di terra nella parte inferiore e capitozzati, oppure ceduti in affitto come abitazioni che esistono tuttora. I fossati, privati dell'acqua alla metà del Cinquecento, furono dati in godimento alla Magistratura dei Cento Pacifici, che li affittò come prati da sfalcio. Anche diversi tratti delle strade che correvano sugli spalti furono incorporati negli orti adiacenti e posti a coltura, e file di casette sorsero a fianco delle Porte. La costruzione del Canale Naviglio portò all'apertura di un nuovo accesso, Porta Pia, nell'anno 1791. Durante l'Ottocento, le mura assunsero il compito esclusivo di barriera daziaria, che numerosi popolani cercavano di aggirare con ingegnosi stratagemmi. Nel 1905 anche questa funzione cesso, e finalmente la città fu libera di espandersi all'esterno della cerchia muraria. Furono cosi aperte brecce sempre più numerose, e nel 1930 fu deliberate l'abbattimento delle mura presso S. Francesco. II passaggio del fronte nel 1944 portò gravi danni alla cinta, ma soprattutto la distruzione di tutte le porte, ad eccezione di Porta delle Chiavi. Gli anni Cinquanta videro la scomparsa di altri tratti di mura in viale IV Novembre ed in Borgo, e solo dal decennio successive iniziò ad affermarsi la culture del rispetto e del restauro per queste preziose testimonianze del nostro passato.


Nuovi studi sulla Tone di Oriolo
La Torre di Oriolo, unica fortificazione ancora presente nel territorio del nostro Comune oltre alle mura cittadine, è un esempio importante di architettura militare risalente all'epoca del rinnovamento urbano di Faenza voluto dai Manfredi. II castello originario fu costruito nel 1057 dall'Arcivescovo di Ravenna, ma per la sua posizione strategica tra Faenza e Forlì esso fu conteso per secoli fra queste città. Anche le case poste sulla piazzetta della chiesa parrocchiale furono difese mediante una cinta di mura, di cui ormai non rimane nulla, e per oltre tre secoli il piccolo centra abitato ebbe l'onore del titolo di Castello, con tanto di Statuti e parziale autonomia amministrativa. Nel 1474, Carlo II acquistò la vecchia fortificazione e la ristrutturò, ricostruendo la Torre e la rampa fortificata d'accesso alla Rocca. E tuttora ignoto il nome dell'architetto che ideò il nuovo edificio: la tradizionale attribuzione a Giuliano da Maiano ha numerosi pro e contro. Le strutture rivelano però una grande maestria costruttiva, unita alla ricerca della massima funzionalità abitativa, ancor più che di quella militare. La forma esagonale con due angoli retti, unica in Italia, rappresenta un altro mistero: nasconde forse qualche simbologia di cui si è persa oggi la memoria?


Romolo Liverani (1809 -1872), Castello di Oriolo.
Disegno a penna e acquarello.  Pinacoteca Comunale Faenza.

Romolo Liverani (1809 -1872), San Apollinare in Oriolo con vista del Castello.
Disegno a penna e acquarello. Pinacoteca Comunale Faenza.


La Torre di Oriolo, piccola all'apparenza, racchiude in realtà sei piani, ciascuno con funzioni ben precise e dotato di comfort insospettabili, come quattro latrine e la possibilità di attingere acqua da ogni stanza, scaricare i rifiuti o sollevare provviste e munizioni da un piano all'altro. Un'indagine approfondita ha consentito di far luce sull'entità degli interventi di ristrutturazione operati dai Veneziani nei primi anni del Cinquecento, opere ben maggiori di quelle finora accertate e che interessarono la parte superiore della Torre. Dopo la metà del Cinquecento la Torre perse ogni funzione militare, e fu oggetto d'abbandono e successive spoliazioni, culminate con la demolizione del coperto nel 1753 e la colmatura del fossato che la circondava. Anche le mura della Rocca e del paese scomparvero quasi totalmente, demolite dagli abitanti del posto per recuperare i materiali da costruzione. Divenuta proprietà della famiglia Caldesi, alla metà dell'Ottocento la Torre subì alcune modifiche e restauri, che ne garantirono una discreta conservazione fino al secondo conflitto mondiale. Bombardata con granate dagli Alleati in quanto sede di una postazione tedesca, con la sua solidità eccezionale riuscì a salvare la vita a quasi tutti i civili che vi si rifugiarono, dopodiché ricadde nell'abbandono e fu circondata dalle sterpaglie. Dagli anni Ottanta, la Torre divenne però oggetto di un rinnovato interesse. Acquisita dal Comune nel 1984, fu restaurata nella copertura e nei prospetti a curo della Soprintendenza; in seguito, l'associazione dei produttori agricoli locali ha provveduto al recupero ed apertura al pubblico dell'area verde circostante, e dal 2001 la prima sala del monumento è stata aperta alle visite, con lusinghieri risultati in termini di visitatori. Di recente è terminato il secondo stralcio dei restauri, finanziati dal Comune e dalla Regione, e già si pensa a nuove destinazioni d'uso che possano garantire un degno futuro a questo importante monumento.


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