La vicenda del faentino Sauro Ballardini incarcerato a Goli Otok

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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La vicenda del faentino Sauro Ballardini incarcerato a Goli Otok

Tratto da: "La Voce di Romagna" del 29/11/2004

Quando giocava ala sinistra nel Faenza, la squadra della sua città, veniva chiamato 'il Topo'. L'ala, destra soprannominata 'Topolino', era invece il futuro commissario tecnico della nazionale Edmondo Fabbri, con loro giocava Bruno Neri, che aveva militato nel Torino e indossato la maglia azzurra della nazionale. Neri, che prese parte attiva alla Resistenza, venne catturato dei tedeschi e fucilato. Quel soprannome Sauro Ballardini se l'è portato dietro anche nella Resistenza, che lo ha visto tra i protagonisti della Liberazione di Bologna. Del 'Topo' parla Giampaolo Pansa nel suo ultimo successo 'Prigionieri del silenzio', edito da Sperling & Kupfer, e dedicato alla vicenda di Andrea Scano, un pescatore sardo che negli anni Trenta sceglie di diventare comunista. Scano, dopo aver preso parte alla Resistenza, per evitare l'arresto dovrà espatriare e sceglierà la Jugoslavia proprio nel periodo della rottura tra il maresciallo Tito e il Cominform e vivrà la terribile esperienza del lager di Goli Otok, la famigerata isola Calva. Il Cominform era l'organismo politico internazionale di informazione e collaborazione tra i partiti comunisti europei, che avrebbe dovuto ereditare il ruolo della terza Internazionale.

Vi aderirono i partiti di Urss, Bulgaria, Cecoslovacchia, Francia, Italia, Jugoslavia, Polonia, Romania e Ungheria. Quello jugoslavo venne espulso nel 1948 in seguito all'accettazione degli aiuti del piano Marshall. Anche Ballardini per evitare l'arresto dovrà rifugiarsi in Jugoslavia, dove condividerà la sorte di Spano e di altri cominformisti subendo una durissima prigionia prima a Fiume poi a Sremska Mitrovica. Pansa ha incontrato Ballardini per avere la sua testimonianza sulla permanenza di Spano a Fiume. Ecco in sintesi di cosa parla 'Prigionieri del silenzio'. Andrea Scano, che era stato combattente in Spagna poi partigiano in Italia, nel 1947 viene inviato dal Partito in Jugoslavia dove - all'indomani della rottura tra il maresciallo Tito e Stalin - subisce la sorte di tanti altri militanti come lui, finendo deportato nell'inferno di Goli Otok, l'Isola Calva o Nuda, il più infame tra i gulag di Tito. Dopo tre anni di torture e di stenti, Scano torna in libertà e rientra in Italia, ma il Pci gli impone di tacere: ormai con la Jugoslavia è tempo di distensione, quindi è proibito svelare gli orrori del regime del maresciallo Tito. Scano obbedisce e lealmente non parlerà mai, per il resto della sua vita, di ciò che ha visto e subito. Ma certe verità, pure se scomode - ammonisce Pansa - bisogna dirle, per leggere finalmente la storia tutta intera.

"Sono partito da Faenza - racconta Ballardini - assieme a un gruppo di coetanei nell'ottobre del 1943, con la chiamata alle armi della classe 1925. Andammo prima a Forlì, poi ci mandarono a Padova e in seguito, non so per quale motivo, al campo di aviazione di Bologna dove c'era la batteria contraerea. Là c'erano anche altri faentini, ricordo Unico Cimatti, e l'architetto Locatelli. Ero di antica famiglia repubblicana e non volevo assolutamente saperne di servire l'esercito di Salò. Per mia fortuna incontrai subito uno dei responsabili della Resistenza bolognese, Bruno Corticelli, e non fu difficile conoscere Franco Franchini, capo dell'allora nato distaccamento della 7 Gap di Castelmaggiore, di cui io divenni commissario politico". Franchini e Ballardini in quel periodo incontrarono l'ex gerarca Leandro Arpinati, che caduto in disgrazia si era stabilito nella sua tenuta di Malacappa di Argelato, non lontano da Castelmaggiore, dove verrà poi ucciso assieme all'avvocato Torquato Nanni, suo amico e nota figura dell'antifascismo romagnolo, il 22 aprile del 1945.
Pansa cita quell'incontro ne 'Il sangue dei vinti'. "Arpinati - spiega Ballardini - cercava il contatto con il Comitato di liberazione di Bologna, esattamente con il Cumer. Gli venne garantita l'incolumità ma negata la collaborazione pur sapendo che aveva rifiutato di aderire alla Rsi. Gli abbiamo detto che c'erano troppe pagine bianche nella sua storia e che avrebbe dovuto riempirle. A giudicarlo sarebbe toccato ai tribunali incaricati di far luce su quanto da lui commesso. Sul mio incontro con Arpinati esiste la documentazione presentata da Luciano Bergonzini con tutte le relative testimonianze e verifiche".
Successivamente Franchini cadde combattendo contro i tedeschi a Castelmaggiore il 14 ottobre 1944 e a Ballardini venne ordinato di raggiungere la base dei Gap che si trovava a Bologna, a Porta Lame. "Dopo le battaglia di Porta Lame, alla quale presi parte, e il proclama di Alexander, facemmo rientrare alla spicciolata tutto il nostro distaccamento nella base di partenza. Arrivò il combattimento alla Bolognina, tutta la zona era bloccata, assieme ad un ragazzo andai a piedi da Bologna a Faenza. Allora avevo preso le responsabilità dell'Anpi di Faenza e attraversai il fronte tre volte. Ho conosciuto Luciano Lama, all'epoca segretario della gioventù socialista di Faenza". Nella sua città Ballardini si scontrò con i militari polacchi e fece sapere senza mezzi termini che non sarebbe rimasto osservatore passivo delle loro azioni. "I polacchi erano ubriachi e buttavano bombe alle feste da ballo, dopo le mie minacce intervenne anche il Vescovo monsignor Battaglia".

Nella primavera del 1945, con l'ultima offensiva degli Alleati, Ballardini è tra i primi a entrare nella Bologna liberata assieme al Battaglione della 36 Brigata guidata da Golinelli. "Bologna - dice orgoglioso - è stata liberata dai partigiani, quando sono arrivati gli Alleati noi eravamo presenti in città già da tre giorni". Ballardini venne poi a sapere di essere ricercato dai carabinieri, così nel 1946 si trovò costretto a espatriare, il Pci scelse la Jugoslavia e gli attribuì un nuovo nome, quello di Atos Bovina, un caduto della Resistenza. "La prima volta andai a Sarajevo, avevo il compito di aiutare i cosiddetti monfalconesi (i comunisti italiani che nel dopoguerra scelsero di andare in Jugoslavia per fronteggiare l'esodo degli istriani, fiumani e dalmati, ndr). Ero al ministero dei Lavori Pubblici, avevo contatto diretto con i sindacati jugoslavi per aiutare a risolvere tutti i problemi dell'emigrazione". Poi Ballardini decise assieme ad altri due connazionali di tornare in Italia. "Avevo i documenti per tutti e tre, dissi agli altri 'aspettatemi', loro non lo hanno fatto e così al confine sono stati presi dai carabinieri, io sono passato e con il treno sono arrivato a Bologna e ho raggiunto la mia base. Dopo i risultati delle elezioni del 1948 sono tornato nuovamente a Sarajevo". Ballardini dice di aver avuto, una volta rientrato in Jugoslavia, un certo sentore che 'qualcosa non funzionasse', poi da Sarajevo si trasferì a Fiume dove poi verrà arrestato una prima volta nel 1950 nell'ambito della retata legata alla cosiddetta cellula di Bonelli (un amico di Scano). In 'Prigionieri del silenzio', Pansa descrive il clima creatosi in Jugoslavia dopo la rottura tra Tito e Stalin e che porterà all'arresto e alle deportazione dei 'monfalconesi' e delle loro famiglie. Ballardini tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno del 1948 aveva cercato di attivare un contatto con il Partito in Italia senza però ottenere risposte, allora iniziò a Belgrado il giro delle ambasciate dei paesi comunisti. In quella della Romania riuscì a parlare con Anna Pauker, il ministro degli Esteri che si trovava nella capitale jugoslava per una conferenza. La Pauker trasportò sul suo aereo quattro partigiani italiani che raggiunsero così Bucarest, altri vennero fatti espatriare con l'aiuto dell'ambasciata della Bulgaria. Ma, sottolinea Pansa, la vera sorpresa per Ballardini arrivò dall'ambasciata dell'Urss, dove si vide liquidare da un funzionario che gli ringhiò: "Se siete dei veri comunisti rimanete in Jugoslavia a combattere quel fascista di Tito!". Rientrato a Fiume vi rimase a insegnare disegno alla scuola media italiana della città. Nel 1951 arriva il secondo arresto che lo porterà a trascorrere in attesa del processo due anni e mezzo in cella di isolamento nel famigerato carcere di via Roma.

"Era peggio dei piombi di Venezia" è il commento di Ballardini. Dopo il processo e la condanna, Ballardini verrà poi tradotto a Sremska Mitrovica dove subirà il lavoro forzato fino al 1957, anno della liberazione. 'A Sremska Mitrovica - racconta - eravamo in cento dentro una cella che avrebbe potuto ospitare al massimo una trentina di persone. I reclusi erano di varie nazionalità, alcuni erano deportati istriani, conobbi anche un prete croato che aveva preso parte a un corso per sacerdoti destinati ai paesi socialisti. Mentre stavamo lavorando in una fabbrica di mattoni ci chiese se potevamo aiutarlo, voleva celebrare la Messa. La nostra risposta, visto che era un prigioniero politico come noi, fu affermativa. Ogni volta facevamo un muro per proteggerlo e in caso di pericolo battevamo un colpo". Come ha potuto resistere ad una prigionia così dura? "Mi ha aiutato lo sport, oltre al calcio ho praticato la lotta e non ho mai fumato, ricordo che feci a botte per non stare in una cella di fumatori. Ho sempre creduto nelle mie forze". Ballardini verrà liberato nel 1957, non potendo ancora rientrare in Italia si trasferì a Praga dove ha conseguito la laurea all'Accademia delle Belle Arti. "Sono stato docente all'Accademia per il restauro e l'arte monumentale. Ho lasciato a Praga molte opere che i faentini sono venuti a visitare, sono miei i mosaici nelle stazioni della metropolitana e così il grande mosaico di 45 metri quadri nella hall del palazzo delle Comunicazioni internazionali. Ero amico di Manzù e Guttuso che sono venuti a trovarmi a Praga. Ballardini, che aveva iniziato a formarsi alla scuola d'arte di Ravenna, è sempre in piena attività artistica. E' rientrato a Bologna nel 1971, recentemente ha preso parte alla commemorazione della Battaglia di Porta Lame e ogni anno tiene conferenze per almeno 2.000 studenti.










"L'Umanità alla conquista dello spazio", 1979.

Palazzo delle Comunicazioni Internazionali, Praga.
Un gruppo di lavoro italo-ceco per il recupero e restauro di un'opera musiva di Ballardini a Praga

 
Si tratta de "L’Umanitá alla conquista dello spazio" realizzata nel 1979 che attualmente si trova nell’atrio del palazzo delle Telecomunicazioni della capitale boema. Il primo incontro del gruppo a Ravenna
Lo scorso 10 ottobre, presso il ristorante caffetteria Due Dame a Ravenna si sono incontrati esperti storici, ricercatori, restauratori e artisti provenienti dalla Repubblica Ceca e dall'Italia per costituire un gruppo operativo con lo scopo di riportare alla luce quella che, a tutti gli effetti, sembra essere una delle più significative opere musive eseguita da un artista italiano a Praga.
Si tratta del mosaico "L’Umanitá alla conquista dello spazio" (9m x 4) realizzato nel 1979 dal faentino Sauro Ballardini (1925-2010) allievo di Renato Signorini formatosi nel 1942/43 alla Scuola del Mosaico dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna. L’opera si trova attualmente nell’atrio del palazzo delle Telecomunicazioni della capitale boema. Il mosaico, pregevole testimonianza della tradizione e della tecnica ravennate, immediatamente dopo la caduta del comunismo venne occultato alla vista con una parete di cartongesso e così condannato all’oblio, non per i suoi contenuti, ma solo per essere stato realizzato nel passato regime.
Il gruppo di lavoro formatosi spontaneamente, in questo suo primo incontro ravennate, ha delineato un possibile percorso di recupero e di restauro. Ne fanno parte i figli di Ballardini, Elio e Andrea Louis, la nipote Laura e, per la parte tecnica, dalle mosaiciste Magdalena Kracík Štorkánová di Praga, da Silvia Collizzi insegnante dell'Istituto Nervi Severini. Per la parte storica da Guido Pasi e Saturno Carnoli che, fra l’altro, stanno concludendo la biografia di Sauro Ballardini assieme a quella del ravennate Zelo Molducci, che a breve sarà pubblicata col titolo "Il nero e il rosso, due tessere nel mosaico della storia". Recupero e restauro saranno a cura da Magdalena Kracík Štorkánová e da Pavel Karous PhD. Ravenna, capitale del mosaico e incubatrice di talenti come fu quello di Sauro Ballardini, non poteva rimanere estranea al recupero di un’opera il cui destino ricorda quello dei mosaici della casa del Mutilato, anche quelli prima coperti e poi giustamente restituiti alla visione, alla critica e alla autenticità storica.

RAVENNANOTIZIE.IT DEL 13/10/2015

Del processo di Fiume che portò sul banco degli imputati Ballardini e altri 6 cominformisti, parla Giacomo Scotti in 'Goli Otok - italiani nel gulag di Tito' edito da Lint, a scrivere la prefazione della seconda edizione, uscita nel 1997, è stato Giampaolo Pansa. Scotti è un giornalista scrittore napoletano che nel dopoguerra scelse di vivere nella nuova Jugoslavia di Tito e si trasferì a Fiume. A sostenere la pubblica accusa toccò a un nome tristemente noto nel mondo degli esuli istriani fiumani e dalmati, si tratta di Ivan Motika, detto anche il boia di Pisino e responsabile di numerosi eccidi ai danni della popolazione italiana. Scotti riporta la cronaca della 'Voce del Popolo', il giornale della Comunità italiana di Fiume dove si legge che 'il Topo' era accusato di aver tentato di organizzare gruppi controrivoluzionari allo scopo di abbattere l'ordinamento socialista. "L'imputato - scrive il cronista riguardo a Ballardini - ha avuto più volte nel corso dell'interrogatorio un contegno quanto mai provocatorio che ha più volte provocato espressioni di sdegno da parte del pubblico". Il contegno tenuto durante il processo costerà a Ballardini, per il quale era stata chiesta inizialmente la pena di morte, l'aumento della condanna da 12 a 14 anni.
Nel libro su Goli Otok, Scotti descrive anche la vicenda di Piero Ardossi, nome italianizzato di Petar Radosevic, nato a Medolino nei pressi di Pola nel 1925. L'Ardossi nel 1943 era stato arrestato dalle Autorità italiane per la sua attività nel Movimento di liberazione e passò anche attraverso le carceri di Forlì. Il giovane, con l'annessione di Pola e dell'Istria alla Jugoslavia per effetto del Trattato di pace del 1947, fece carriera diventando ufficiale dell'Udba, la polizia politica del regime titino, ma cadde ben presto in disgrazia. Su Ardossi-Radosevic esiste la testimonianza di un sacerdote istriano esule a Gorizia, don Rodolfo Toncetti. Ogni volta che a Pola aveva problemi con l'Udba, don Rodolfo si rivolgeva a lui riuscendo sempre a ottenere la liberazione di persone arrestate ingiustamente. Le benemerenze acquisite con la partecipazione al Movimento di Liberazione e il 'soggiorno' nelle carceri italiane non evitarono all'Ardossi-Radosevic l'arresto e la condanna al lavoro forzato a Goli Otok, in quell'inferno trascorrerà otto anni di durissima prigionia.


Sauro Ballardini con la
 maglia del Faenza Calcio.

Sauro Ballardini ricorda Edmondo Fabbri. Articolo apparso nella Repubblica del 18 giugno 2007

Com' era dolce il mio Mondino

All' ala destra Sauro Ballardini, il Topo. All' ala sinistra Edmondo Fabbri, il Topolino. Anno 1943, il campionato è sospeso ma il calcio scende in campo ugualmente, si fanno tornei, coppe tra le squadre dell' Alta Italia: il Faenza è allenato da Bruno Neri e sulle fasce due frecce in maglia biancoazzurra. Fabbri, da Castel Bolognese, è già professionista, ha giocato nell' Atalanta e nell' Inter, Ballardini è una giovane promessa del calcio, studia a Ravenna alle Belle Arti. «Bravissimo, gentile e simpatico, un vero romagnolo». Così Ballardini, a 82 anni, dopo una vita avventurosa, ricorda l' amico Fabbri proprio nei giorni in cui il Comune di Bologna ha deciso all' unanimità di dedicare una strada all' allenatore della Nazionale e del Bologna, con cui vinse una Coppa Italia nel 1970, mostrando anche un ottimo calcio. La guerra e la Resistenza irrompono nelle loro vite e il Topo lascia i pennelli per le armi. C' è anche lui in quella notte del novembre 1944, quando a Porta Lame i tedeschi si ritirano davanti a 300 scatenati partigiani bolognesi. Il dopoguerra è un periodo convulso, Ballardini sogna di tornare a fare i cross, nel destino c' è invece la fuga all' Est per sottrarsi alle persecuzioni contro i partigiani. Fabbri torna all' Inter e dopo il calcio giocato diventa allenatore.
Nel 1966, nella Praga socialista che stava covando la sua Primavera di Dubcek e Svoboda, Sauro si siede davanti alla tv: c' è Italia-Corea del Nord ai Mondiali d' Inghilterra, in panchina il suo amico Mondino, e soffre davanti a quella incredibile e impensabile sconfitta che diventa un simbolo di disfatta. Pak Doo Ik, il dentista che fece gol, diventa un nome notissimo. «Ho sempre seguito il calcio italiano, il tifo mi faceva sentire un po' vicino a casa. Io tifavo per la Juventus, c' era il ceco Vycpalek che fu giocatore ed allenatore, ormai cecoslovacco di adozione per me era una doppia soddisfazione». Quando a metà degli anni '80, Sauro torna in Italia cerca di recuperare gli anni perduti, magari andando a trovare un vecchio amico come Fabbri. «Una mattina presi la macchina e lo andai a cercare: sapevo che aveva aperto una casa vinicola a Castel Bolognese. Lo vidi, eravamo tutti e due più anziani e più ingrassati, ma bastò poco per riconoscersi e riabbracciarsi. Gli accennai appena alla mia vicenda che mi aveva portato lontano dalla nostra Romagna, gli feci invece la domanda che aveva sentito mille volte, ma cos' era successo in quella partita maledetta? «Sauro, non riuscivo a capire, noi fermi e loro che correvano ai cento all' ora. Erano tutti uguali, per me nell' intervallo avevano sostituito mezza squadra e non ce ne accorgemmo» scherzò Mondino. Il Topo voleva comprare il vino, il Topolino gli regalò una cassa di Sangiovese. Altri brindisi non ce ne furono. Mondino se ne è andato 12 anni fa, nel 1995. «Sono contento che gli venga dedicata una via, se la merita, era una brava persona» dice adesso il Topo, l' ala destra che sognava il pallone da oltrecortina.
LUCA SANCINI sez.


Edmondo Fabbri e Bruno Neri,
con la magli del Faenza Calcio.


Per chi vuole approfondire l'argomento
su Sauro Ballardini si consiglia




Il libro racconta la storia di Sauro Ballardini, un mosaicista partigiano e comunista  che rischiò la vita, prima nella 7ª Gap a Porta Lame, poi in un lager della Jugoslavia di Tito e la ritrovò assieme alla sua arte a Praga, per condurla seneramente a Bologna.





Il libro è dedicato alla vicenda di Andrea Scano, un pescatore sardo che negli anni Trenta sceglie di diventare comunista. Scano, dopo aver preso parte alla Resistenza, per evitare l’arresto dovrà espatriare. Sceglierà la Jugoslavia proprio nel periodo della rottura tra il maresciallo Tito e il Cominform, l’organismo politico internazionale di informazione e collaborazione tra i partiti comunisti europei, che avrebbe dovuto ereditare il ruolo della terza Internazionale. Scano si troverà a vivere l’infernale esperienza del lager di Goli Otok, la tristemente nota isola Calva. Pansa per avere notizie sulla permanenza di Spano a Fiume, divenuta Rijeka, aveva incontrato a Bologna l’artista Sauro Ballardini, nativo di Faenza. Ballardini, che aveva preso parte attiva alla Resistenza, venuto a sapere di essere ricercato dai carabinieri, nel 1946 aveva deciso di espatriare; il Pci aveva scelto per lui la Jugoslavia, attribuendogli un nuovo nome, quello di Atos Bovina, un partigiano caduto. Sauro Ballardini è morto a Bologna nel novembre 2010.







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