BARBARA MANFREDI, BELLA E
MISTERIOSA SIGNORA DI FORLÌ
Veniero Casadio Strozzi
Barbara Manfredi, figlia
di Astorgio II, sarà destinata a sua volta a lasciare una traccia nella
storia romagnola, purtroppo non positivamente. Promessa sposa a otto
anni al forlivese Pino Ordelaffi, lui appena quindicenne, se ne
officeranno fastosamente gli sponsali a Forlì nel gennaio del 1456,
contemporaneamente a quelli della sorella Elisabetta con Francesco
Ordelaffi, fratello di Pino. La famiglia Manfredi sarà ospite a Forlì
per i sei giorni dei festeggiamenti, ma la giovane età di Barbara (18
anni), la sua avvenenza e ambizione, nonché l'appoggio del padre
Astorgio che nutre per lei un affetto incondizionato, non lasciano
presagire nulla di buono. Chiaramente Pino mira a succedere al
fratello, che ora governa la città, desiderio questo pienamente
condiviso dalla consorte. Si sa poi che, all'epoca, le lotte per il
potere pur fra stretti consanguinei sono all'ordine del giorno e senza
quartiere, come anche a Faenza dimostrano le discordie fra i fratelli
di Barbara: Carlo, Federico, Lancellotto e Galeotto, quest'ultimo
destinato a prevalere. Pare dunque che Pino accusi un non chiaro
disturbo, la cui causa, vera o presunta, è maliziosamente attribuita a
Francesco. Così Pino e Barbara se ne vengono a Faenza al fine di
ottenere l'appoggio di Astorgio in quel che potrà essere e che poi
avverrà (1).
Barbara Manfredi, particolare
del monumento funebre.
Stemma degli Ordelaffi.
"Faenza Nera"
Il libro dal quale è tratto l'articolo di
Veniero Casadio Strozzi su
Barbara Manfredi. |
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Particolare del monumento
funebre di Barbara Manfredi.
Pino Ordelaffi.
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Fatto si è che, non troppo dopo il loro ritorno a Forlì, Francesco con
consorte e figli son fatti imprigionare da Pino. E poiché il signore
suddetto resiste al veleno somministratogli (forse Barbara non è ancora
sufficientemente esperta nella pratica) ci pensano alcuni sicari a
finirlo a colpi di stocco. Poco dopo anche Elisabetta sarà avvelenata.
Pino ottiene così la signoria e Barbara raggiunge il desiderato potere
a spese, ma è cosa trascurabile, di sorella e nipoti. Sfortunatamente
non ne avrà troppo a godere. Pare infatti che se l'intenda con un
letterato di corte, certo Giovanni Orcioli, e Pino è presto al corrente
della tresca. Così avviene che, poco tempo dopo la fine di Francesco,
Barbara è colta da un improvviso "flusso di ventre", che in pochi
giorni ingloriosamente la conduce alla tomba (7 ottobre 1466).
Giovanni Orcioli prudenzialmente migra a Firenze, di cui diventa podestà.
Rientrerà a Forlì
alcuni anni più
tardi e, guarda caso, è colto dal solito disturbo intestinale e ne
perisce. A formale memoria della consorte, Pino fa scolpire da Simone
Ferruccio da Fiesole uno splendido sarcofago funebre, posto nella
chiesa di S. Biagio e da qui trasferito in S. Mercuriale, dopo la
distruzione della precedente per un bombardamento tedesco dell'ultima
guerra. La scoperchiatura della tomba offre l'occasione della
riesumazione del corpo di Barbara, ancora ben conservato, ed
un'approssimativa autopsia non riesce ad interpretare evidenti tracce
di veleno. Ciò non toglie che anche la seconda moglie di Pino, Zaffira
Manfredi, cugina di Barbara, se ne muoia immaturamente "more solito". Ci
penserà finalmente una terza moglie, Lucrezia Pico, a saldare ogni
conto avvelenando Pino nel 1480. Chi di spada ferisce...
Nota:
(1) Vedi, La più sventurata Madonna de Italia, in Questa Romagna, Bologna 1963, pag. 122.
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UNA MORTE AVVOLTA NEL MISTERO
M. Bergamini
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"La sposa si chiama Barbara: che non fosse mai nata, in piacere di Dio fosse stata: che fò principio de la ruina forlivese"
Leone Cobelli, Cronache forlivesi dalle origini all'anno 1498
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La sera del 10 dicembre 1944 un bombardamento tedesco
distrugge la quattrocentesca chiesa di S. Biagio a Forlì. I danni causati sono ingenti, vengono distrutti completamente
gli affreschi che decorano
la Cappella Feo (1493-94) realizzati da Melozzo da Forlì e da Marco
Palmezzano. La Cappella, dedicata a san Giacomo Maggiore, era stata
commissionata da Caterina Sforza, signora di Forlì, come cappella
gentilizia per la famiglia del suo secondo marito Giacomo Feo, (sposato
in segreto, ma non è storicamente provato ) e ucciso nel 1495 e qui sepolto. Dalla
distruzione si salvarono la "Madonna in Trono con bambino e i Santi"
del Palmezzano, un' "Immacolata Concezione" di Guido Reni del 1627,
un'acquasantiera quattrocentesca e il monumento funerario di Barbara Manfredi. Pietro
Reggiani, sopraintendente onorario ai monumenti di Forlì, aiutato da
volontari riuscì a recuperato il corpo di Barbara Manfredi, e i marmi
sbrecciati, i quali vennero in sequito sottoposto ad
accurato restauro. L' esame anatomo-patologico effettuato nel 1947, sul corpo di
Barbara Manfredi, non ha dissipato le circostanze della misteriosa
morte per gli scarsi elementi in possesso degli studiosi. Tre le
ipotesi: una violenta forma epidemica, una affezzione addominale acuta,
oppure un avvelenamento. Il 16
dicembre 1947 il monumento funebre realizzato da Francesco di Simone
Ferrucci tra il 1466-69, viene collocato nell' abbazia di S. Mercuriale.
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San Biagio, Forlì, in una foto degli inizi del novecento.
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La vicenda di Barbara Manfredi come la racconta Bernardino Azzurrini nella "Chronica Breviora", pag. 271 |
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I fratelli Cecco e Pino Ordelaffi erano entrati nella signoria di Forlì
fin dal principio della metà del secolo XV; per la morte del padre loro
Antonio. Il 2 marzo 1451 furono da Astorgio II Manfredi celebrati a
Faenza gli sponsali (fidanzamento) della figlioletta sua Barbara, che
aveva soltanto otto anni, con Pino Ordelaffi, che ne aveva soltanto
quindici.
Nel 1455, poi, Cecco Ordelaffi, fratello di Pino, rotto fede
alla sua promesa sposa Lucrezia di Sigismondo Malatesti, ottenneva la
mano dell’altra figlia di Astorgio Manfredi, Elisabetta. |
E il
matrimonio di Barbara con Pino, rallegrato dal fidanzamento novello di
Elisabetta, si celebrò il 25 gennaio 1456. Ma la concordia tra i due
fratelli Ordelaffi in Forlì non durò a lungo: pare che Cecco, per
ismania di assoluto dominio, tentasse di avvelenare il fratello Pino,
che fu costretto a ricoverarsi con la moglie Barbara Manfredi in
Faenza; ma il giovane marito di Barbara guarì, e Cecco, a dissipare
ogni sospetto, andatosene in Lombardia, mise il fratello al soldo dei
Veneziani, fermandone i capitoli il 24 marzo con Bartolomeo Colleoni,
capitano generale della Serenissima. Tornato nel ‘66 dalla guerra, Pino
trovò in Forlì Cecco gravemente ammalto ed i cittadini irritatissimi
contro il mal governo di lui e d’un tal dottore Francesco Bifolci suo
fac-totum; e nello sdegno e nei tumulti che ne seguirono, Pino vide
cupidamente a sé aperta la via all’usurpazione. Barbara, la giovane sua
sposa, fu sua complice, ed inviò per aiuti un messo segreto ad
Astorgio, suo padre: ed il fatto è che una notte i congiurati
s’impadronirono dell’infermo Cecco e lo rinchiusero in una torre con i
figli e con la moglie Elisabetta.
Il sopraggiunto soccorso di Astorgio
aiutò indi Pino ad avere il pieno dominio di Forlì; e, orribile a
dirsi, Barbara stessa preparò poi il veleno che avrebbe dovuto uccidere
lo spodestato Cecco, e che sembra non riuscito: ad ogni modo il 22
aprile 1466 il povero Cecco uscì di vita e d’angoscia. Ma Barbara non
godette a lungo il frutto di tanta perfidia; che ella pure di lì a poco
moriva aa soli 23 anni, recando seco il mistero di così tristi delitti.
Un monumento funerario del più puro stile quattrocentesco ne racchiude
la spoglia mortale in Forlì, nella chiesa detta di san Biagio, e la
bella donna dal dolce profilo, che, delicamente scolpita e rigidamente
distesa sull’urna, dorme tra i fiori e le trine il sonno eterno, non
sembra davvero nel gentile aspetto avere albergato un’anima subdola e
fiera. Tale monumento le fu dedicato dal marito Pino: tarda ed ipocrita
pietà, se è vero che Pino stesso la uccidesse di veleno, per crudele
sospetto o per cause a noi ignote. Dopo tali fatti, Astorgio II
Manfredi, da amico divenuto nemico di Pino, con Caterina Rangoni madre
dei due Ordelaffi ordì una segreta congiura per rimettere la signoria
di Forlì in mano dei figlioli del morto Cecco: ma la trama finì in
nulla. La inimicizia con Pino e la protezione per i figli dello
spodestato Cecco fu ereditata, naturalmente, da Galeotto Manfredi, il
quale però tentò un riavvicinamento e lo raggiunse negli anni
1477-1478. Intanto l’11 febbraio 1480 moriva Pino Ordelaffi, lasciando
erede il figlio naturale Sinibaldo, appena dodicenne, sotto la tutela
del papa, del re di Napoli e della sua terza moglie Lucrezia Mirandola;
ma i Forlivesi, sollevatesi contro il mal governo di costei,
acclamarono signori i fratelli Anton Maria e Francesco, figli di Cecco
e di Elisabetta Manfredi, i quali erano ricoverati in Modigliana, sotto
la protezione dello zio materno Galeotto; e già i due fratelli,
ricevuti trionfalmente in Forlì, speravano di riacquistare il legittimo
dominio, anche perché Sinilbaldo morì ad un tratto, quando il papa
Sisto IV, colse l’occasione per proclamare e, con la forza di milizie,
imporre come signore di Forlì il proprio nipote Girolamo Riario, già
padrone di Imola; e i due Ordelaffi, nuovamente raminghi, si
rifugiarono a Venezia: Spiacque ciò a Galeotto Manfredi, oltre che i
due nipoti, anche per quella politica nepotista del pontefice, che era
una minaccia a tutti i principi dello stato ecclesiastico; e aiutò più
volte Anton Maria e Francesco a tentare la cacciata del Riario da
Forlì. Così nel 1481, con aiuti del duca di Ferrara e dei Fiorentini,
raccolse circa mille duecento uomini sotto Forlì, ma l’impresa andò
fallita per la pronta opera del governatore della città Giovanni
Francesco Tolentino; così parimenti, nel 1482, partecipò al tentativo,
di cui nella presente notizia azzurriniana.
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"Scolpì la gentilissima in figura giacente che
dorme, sopra un'urna coperta di drappo a fiorami con le mani composte
in croce sull'esile petto, e la testa poggiata sopra un origliere pure
a fiorami: e di fiori è tutta cosparsa la sua feste di broccato, di
fiori è intessuto il drappo che scende sul fondo della grande arcata; e
fiori corrono in rame e festoni nei nei pilastri e sulla base; veglia
su lei entro un medaglione in una corona di quercia la Vergine
col Bambino; nelle targhe del basamento e su in alto sono gli stemmi
dei Manfredi e degli Ordelaffi"
Aldo Spallicci
L'epigrafe dettata da Pino Ordelaffi:
BARBARAE ASTORGI MANFREDI FILIA
PINVS ORDELAFFVS VXORI DVLCISSIMA
OB DIVINA VIRTVTVM MERITA
PONENDVM IVSSIT
VIXIT ANN. XXII m VI d IV
ANN. SAL. MCCCCLXVI |
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