1103 anno del primo storico assedio a Faenza
e le battaglie con i Conti di Cunio
di Miro Gamberini
"Venimmo al piè d'un nobile castello,
Sette volte cerchiato d'alte mura,
Difeso intorno d'un bel fiumicello"
(Dante, Inferno, c. IV)
Il 1103 è l’anno del’inizio della lotta tra
frazioni cittadine per il possesso della città di Faenza. Vengono
cacciati Alberico di Guido di Manfredo, Rinaldo di Rambertino e
Signorello d’Ugone ed altri nobili, le loro case vengono distrutte e
incendiate. Alcuni trovano rifugio a Cunio, castello situato alla
sinistra del fiume Senio nei pressi di Cotignola, altri a Ravenna. Il
castello di Cunio comprendeva nel suo distretto: Donigalia, Barbiano,
Zagonara e Granarolo. In questi luoghi i profughi non rimanevano
inoperosi ma tramavano tentando di organizzare un esercito per
riconquistare Faenza. Ravenna è quella maggiormente operosa in questa
missione. Tonducci nell’Historie di Faenza a pag. 171, riportando le
parole del Tolosano commenta così la macchinazione: “….raccolti
gran somma di denari al medesimo Alberico, aciò con essa assoldasse, e
conducesse ancora altri popoli, nò di Romagna solo, ma dalla Marca
ancora, come in effetto egli fece nel 1103”.
Assalto alle mura di una città fortificata.
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Assalto alle mure di una città fortificata con un trabucco.
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Vengono adottati anche metodi persuasivi molto efficaci dal lato umano
per convincere i nobili delle città vicine ad aderire all’alleanza
sostenendo che i faentini “mulierimum mammillas omnibus ostendebat” ,
hanno tagliato le mani e le mammmelle ai loro figli e figlie. Si
tentano accordi per convincere alcuni signori faentini, rimasti entro
le mura cittadine tra i quali Guido Manfredo e Accariso al tradimento,
e consegnare la città a Ravenna, senza risultato. Con le forze raccolte
l’arcivescovo di Ravenna Etelberto muove verso Faenza cingendola
d’assedio con l’aiuto dei soldati del conte di Cunio, dei baroni delle
Marche e di Romagna. Risultato vano ogni tentativo di conquistare la
città, le truppe si danno al saccheggio e alla devastazione della
campagna. Gli assediati sono sollecitati e sfidati con ingiurie a
uscire ed accettare battaglia in campo aperto. Erano talmente sicuri di
prendere la città, i ravennati, da concedersi nei momenti di pausa di
“balneabat in flumen” (fare bagni nel Lamone) nelle vicinanze di Porta
Ponte. Nella città assediata la mancanza di cibo comincia a farsi
sentire, i rifornimenti erano preclusi. Alcuni tentano di riavviare una
trattativa per cedere la città al nemico in cambio di una onorevole
resa, ma nuovamente il tentativo risulta inutile. Vengono incendiate le
abitazioni del Borgo Durbecco, il nemico doveva solo attendere ancora
alcuni giorni poi Faenza sarebbe stata definitivamente conquistata,
incendiata e distrutta. Inaspettata quanto provvidenziale giunse la
notizia che una forte formazione di “lancie” di Toscana e di
alcune “valli della Romagna” al comando del conte Guido Guerra di
Modigliana stanno attraversando l’Appennino per portare aiuto alla
alleata Faenza. Gli umori cambiano i ravennati “spontaneamente si
ritirarono” abbandonando l’assedio quelli che rimasero come
racconta il Righi negli Annali della città di Faenza, vol. I, pag. 79:
“….vennero vigorosamente inseguiti, e di forza respinti fino alla
chiesa di San Antonino, donde il retrocedere prese qualità d’aperta
fuga, sì che molti de’ Ravegnani, e degli altri ajutatori de’
fuorusciti furono morti o feriti, o prigionieri con credibile rammarico
di costoro che fino al 1109 rimasero in bando dalla patria, ove
quell’anno e susseguente tornarono in virtù d’amichevoli accordi”.
Torre d'assalto.
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Passano alcuni anni di relativa tranquillità, poi nel 1115 “…fu
nuovamente in cotale anno travagliata da intestine discordie, cagionate
da ambiziose gare tra popolani e nobili per conseguire i pubblici
[in]carichi…” (Righi, Annali della città di Faenza, vol. I, pag. 80).
Viene esiliato Guido di Manfredo e Suardo di Muro, i quali trovano
rifugio in Cunio sotto la protezione dei conti del castello. Gli esuli,
ogni tanto, organizzano delle incursioni armate nel territorio
faentino, per poi ritornare rapidamente al sicuro alla base di
partenza. “Questo castello era forte e ben munito, avendo oltre le
mura, una rocca con un gran torrione nel mezzo; per lo chè si difese
più volte ed in particolare dai faentini che l’avevano quasi alle porte
della loro città e perché i cuniesi davano assistenza ai loro
fuoriusciti”. Questa descrizione di Girolamo Bonoli tolta dalla sua
Storia di Lugo sintetizza efficacemente la situazione storica di quegli
anni. Da sempre i castelli situati ai confini dei territori sono visti
come un pericolo di ingerenza nella politica delle città limitrofe e
questo non poteva essere tollerato. Questo pretesto fu la causa di vari
tentativi compiuti dai faentini per debellare e distruggere il castello
dei conti di Cunio. Stanchi di queste incursioni i faentini nel 1124
assieme al conte Guido Guerra cingono d’assedio il castello ma dopo
quaranta giorni di tentativi non riescono a conquistarlo, sebbene il
lancio di una pietra per mezzo di un mangano colpisca uccidendolo Guido
Traversari, uno dei capitani della rocca. Alla notizia dell’arrivo di
un contingente di soldati di Ravenna i faentini preferirono abbandonare
il campo. L’anno successivo 1125 i faentini con alleati i bolognesi e
il marchese Corrado di Toscana tentano nuovamente di conquistare il
castello. Ma nuovamente il provvidenziale arrivo dei ravennati con
ausiliarie truppe imolesi fece desistere i faentini dal proseguire
l’assedio. Forte di questo successo nel 1126 Ravenna riesce a
costituire una alleanza di città Romagnole con Ferrara, Forlì, Cesena,
e Rimini per muovere guerra a Faenza. Devastata la campagna attorno a
Faenza e non ricevendo una adeguata resistenza conquistano e incendiano
il Borgo Durbecco “nei cui dintorni posero gli alloggiamenti a schermo
e terrore della città. Dalle torri e da altri eccelsi luoghi mirava il
popolo le devastazioni praticate”, ma l’arrivo di “alcune milizie
ausiliarie accorse dalle convicine Città, non dubitò di uscire
all’incontro dell’oste nemica, la quale comecchè lui vincesse di
numero, e ne sostenesse gli assalti reinterati dall’ora di Terza fino a
Nona, pure venne astretta a ritrarsi dalle fazioni colla perdita di
oltre a ducento prigionieri, e d’assai numero di feriti e d’uccisi, e
d’una gran parte de’ militi impedimenti” (Righi, Annali della città di
Faenza, vol. I, pag. 82 -83). Nuovamente un esercito parte dal castello di Cunio, giunge fino al
sobborgo della Ganga (quartiere posto ove oggi si trova viale
Baccarini) con intenzione di distruggerlo, “ma accortisi a tempo i
nostri, e dato piglio alle armi, furogli adosso incoltamente,
incalzandolo con tale ardore che ei dovette darsi alla fuga”.
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Era questo solo un diversivo per attirare i faentini in una
imboscata. Inseguito il nemico fino a Granarolo si trova innanzi un
forte esercito “i Faentini a cotale inaspettata vista, anzi viepiù
addensatisi in ben ordinate schiere, e disposti a menare le mani
procedevano diritto al nemico. Se non che venuta la notte, fu savio
consiglio dell’una e dell’altra oste di ritornarsi ciascheduna col
favor delle tenebre al proprio nido, e satisfatte amendue di aver
mostrato sicura fronte al nemico” (Righi, Annali della città di Faenza,
vol. I, pag. 83). Tra il 1125 e il 1129 con l’aiuto dei ravennati il
castello viene fortificato per renderlo inespugnabile. Viene costituita
nel 1131 una alleanza tra Bologna e Ravenna con lo scopo di conquistare
Imola “e datole con le genti loro gagliardamente l’assalto, finalmente
la presero per forza, spianando le mura e le fosse della città, e in
gran parte l’abbruciadola e portando le porte di detta città alle
sedi loro”. (Vincenzo Carrari, Istoria di Romagna, pag. 95).
A Imola non resta che chiedere aiuto ai faentini “promettendo e
giurando di dare ogni anno due palii alla Chiesa di Faenza alla festa
di San Pietro di valor di cento soldi in ricognizione di tanto
beneficio; onde senza indugio da essi Faentini furono cominciate
a ristorar le fosse, i muri e le porte della città” (Vincenzo Carrari,
Istoria di Romagna, pag. 95). Mentre si restauravano le mura, la città
di Imola nel gennaio 1132 viene nuovamente assalita dai bolognesi e dai
ravennati con l’aiuto dei ferraresi. Per due mesi si battaglia per
espugnarla, ma essendo “morti quasi tutti i cavalli ai Ravennati, ed ai
Bolognesi” abbandonano l’assedio. Il castello di San Cassiano (frazione
del comune di Imola presso i Cappuccini nel sobborgo occidentale della
città) avendo patteggiato con i bolognesi viene assalito e distrutto
come pure la sede episcopale.
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Di ritorno da una incursione, dopo aver
lasciato a Imola in “presidio alcuni cavalli e fanti” nel 1134 le
truppe di Imola e Faenza vengono intercettate in località “Torretta
lungi tre miglia incirca da Imola” (Righi, Annali della città di
Faenza, vol. I, pag. 87) da un esercito composto di bolognesi e
ravennati, rafforzate dai soldati dei conti loro alleati, tra i quali
quelli di Cunio. Ne scaturisce una furiosa e “fiera battaglia, che durò
meno d’un’hora, quasi senza vantaggio; alla fine si videro i Nemici
talmente inculcati, che si diedero a fuga disordinatamente verso il
Monte, per ricoverarsi nel prossimo Castello della Serra” (Tonducci,
Historie di Faenza, pag.182). Inseguiti dai faentini e cinto l’assedio
al castello viene immediatamente espugnato, tra i prigionieri Ugolino
conte di Donigallia, Guido detto Malabocca conte di Bagnacavallo, e la
contessa Matilde madre di Malvicino signora del Castello della Serra e
trenta cavalieri bolognesi. Il 1135 trascorre senza guerra. Nel 1136 i
soldati di Castel Nuovo (frazione a 2 chilometri a Ponente del comune
di Solarolo) e Limitaldo (Castel Bolognese) praticano alcune “scorrerie
nel territorio faentino guastando biade e depredando armenti” provocano
una reazione immediata dei faentini e imolesi che distruggono
atterrando le due fortificazioni.
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Da codici miniati medioevali.
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Si giunge così a giugno quando
agli ordini del duca Pietro II e Guglielmo de’ Traversari, pensando di
cogliere i faentini al lavoro nei campi intenti alla mietitura, partono
con le truppe dal castello di Cunio e si dirigono verso San Pier
Laguna. Informati delle intenzione i faentini “andarono ordinatamente
ad assalirli nel luogo stesso, ove si erano nascosti, e lo fecero con
tanto impeto, che dopo poco resistenza con qualche uccisione dell’una,
e altra parte, si diedero in fuga verso Cunio, seguitati sempre dai
Faentini con mortalità, e prigionieri di molti” (Tonducci, Historie di
Faenza, pag.183). All’inizio del 1137 cambiano le alleanze militari
Bologna lascia Ravenna e si allea con Faenza per reggere sotto il loro
dominio Imola, ma la città del Santerno malcontenta del “giogo
raddoppiato” si sottrae nel 1138 dai bolognesi e dai faentini,
confederandosi con Ravenna, con i conti di Bagnacavallo, di Cunio e di
Donigallia. Gli eserciti di Faenza e Bologna nel mese di maggio
invadono il territorio imolese saccheggiando la campagna. Terminata
l’incursione i due alleati retrocedono separandosi. ( Savioli,
Annali, vol. I, pag. 251) A Cerreto vengono affrontati dai confederati
di Ravenna, mentre da tergo arrivano gli imolesi “ma dispostesi a
sostenere il doppio assalto dell’oste nemica, proposero di far prova
dell’usato valore, onde gli avversari non avessero sopra loro allegra
vittoria”. “Era l’ora sesta” e i cavalieri faentini inferiori di numero
e stanchi per la marcia sostenuta sembrano pronti ad abbandonare la
battaglia, quando in soccorso giungono i bolognesi rafforzando la
mischia la quale diventò aspra con grande perdita di uomini da ambo le
parti. Al “Vespro”, (ore due di notte) guadagnata un’altura, presso un
rio, i faentini concordano una tregua nell’impossibilità di combattere
e concedere degna sepoltura ai morti. I campi “di si dolorosa mischia,
[presero] il nome di Dolenti e il Rio vicino dal sangue sparso di cui
si tinsero l’acque, fù denominato Sanguinario. Nel periodo dal 1139 al
1144 Faenza partecipa e aiuta inviando truppe di cavalleria all’alleata
Bologna in guerra con Modena. Il 17 giugno 1145 nella battaglia
di Santa Lucia delle Spianate i faentini con la vittoria sulle
truppe ravennati ottengono di fatto un potere temporale da condizionare
negli anni successivi la storia del territorio. Ravenna si vide
costretta ad allentare il suo rapporto di alleanza con i Conti di
Cunio, i quali di conseguenza furono nel 1147 indotti ad
allacciare una trattativa di pace con Faenza. Dure le condizioni, il
conte deve lasciare il castello nelle mani delle truppe faentine,
accettare in cambio la cittadinanza faentina per lui e i suoi
discendenti. |
Fu appena siglata la capitolazione che subito si sparse la voce di un
accordo stipulato dal conte di Cunio di consegnare il castello e i
soldati faentini che lo avevano in custodia alle truppe ravennati.
Immediata la reazione dei faentini i quali “diedero di mano all’armi et
andarono a Cunio a’ quali i difensori troppo crudeli apersero le porte;
onde cominciarono a gettar le mura e gli altri edifici nelle
fosse, talmente che lavorando tutti insieme distrussero quasi tutto il
castello” (Vincenzo Carrari, Istoria di Romagna, pag. 107).
Ricostruito dopo alcuni anni il castello subisce una nuova distruzione
nel 1257. Nel 1296 viene distrutto definitivamente dalle truppe
di Faenza e Bologna.
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