Il Palio di Faenza tra mito, storia e realtà

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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IL PALIO DI FAENZA TRA MITO, STORIA E REALTÀ
Michele Orlando


Il 28 giugno 1959, di domenica, vigilia del Santo Patrono Pietro apostolo, viene istituita a Faenza la prima edizione del Palio del Niballo. Le cronache faentine ci informano di varie occasioni in cui vengono organizzate feste di segno cavalleresco o ludico-militare con giostre, corse del palio o semplici corse di cavalli berberi.

Disfida tra cavalieri da una miniatura medioevale.
  




Federico Barbarossa.
Le origini mitiche
Il mito delle origini si radica nella cultura cortese d’oltralpe, stratificata nella sensibilità della popolazione padana, e nelle tradizioni comunali. A Faenza tornei o giostre cavalleresche sono frequenti sin dal gennaio 1164, allorché l’imperatore Federico Barbarossa, ospite di Enrico e Guido Manfredi, vuole una quintana per appurare la destrezza dei faentini in battaglia, impegnati con armi di legno, secondo le disposizioni della Chiesa, in un orto detto Broylo, nelle adiacenze dell’attuale via Baroncini. Non mancano le corse dei cavalli berberi in occasioni religiose, come quelle mariane del 15 agosto per l’Assunta, chiaramente certificate in una epistola del 28 marzo 1483 di Galeotto Manfredi a Lorenzo de’ Medici, nella quale si chiedono 25 braccia di raso (‘brazza XXV raxo carmisino’) per confezionare il drappo da consegnare al vincitore, o di altri santi protettori venerati nella città, come per le celebrazioni patronali di San Pietro il 29 giugno, concluse spesso con giostre, tornei, armeggerie.


Galeotto Manfredi.














Lorenzo de' Medici.
Lettera di Galeotto Manfredi a Niccolò Michelozzi, 6 agosto 1479. Foglio cartaceo, cm. 21x15.
Biblioteca Comunale Manfrediana, Fondo Manoscritti. Nella parte destra del retro sigillo impresso; accanto il nome del destinatario.Galeotto Manfredi scrive a Niccolò Michelozzi, «camerario» di Lorenzo il Magnifico pregandolo di adoperarsi presso il suo signore affinché gli faccia avere 25 braccia di raso rosso per il palio che si sta per correre in Faenza, invitandolo a mandare anche i suoi cavalli berberi per la corsa del palio in Faenza in occasione della festa dell'Assunta.                         
Le estrazioni popolareggianti del palio faentino
Già nel Duecento la distribuzione urbana di tipo zonale, data anche la presenza di una fazione guelfa nei rioni di porta Ponte e porta Ravegnana, e di una fazione ghibellina nei rioni di porta Imolese e porta Montanara, produce aspre diatribe politiche. Solo dal 1410-14 le riforme statutarie del signore Gian Galeazzo Manfredi permettono il rinnovamento suntuario e cerimoniale delle principali feste della città, emblema delle forme di ostentazione dell’élite cittadina. Le feste cavalleresche e ludico-militari insieme ai cerimoniali civici, giochi collettivi sul tipo delle corse del palio e delle cosiddette battaglie rionali, feste patronali e affini, rappresentano o auto-rappresentano il potere e le gerarchie sociali.
In ambito più popolare permangono le feste di tipo religioso e liturgico come quella per l’Eremita Nevolone (morto nel 1280), patrono dei calzolai, celebrato con una sfida fra imprecisati rioni (in una cronaca dell’epoca si parla persino di un rione del drago). Il prototipo del palio faentino non corrisponde alla cosiddetta iostra o torneamentum o ancora astiludium: competizioni equestri finalizzate alla aggiudicazione di un palium o bravium, ma il più delle volte si tratta di una corsa di cavalli berberi che tradisce probabilmente l’ascendente oltreappenninico, in modo particolare tosco-laziale, delle gare equestri e delle feste popolari di città come Roma, Firenze o Pistoia, che non prevede necessariamente la partecipazione di fantini.


Cavaliere medioevale da un codice miniato.


Disfida tra cavalieri.
Contaminazioni profane e religiose
I giochi legati alle celebrazioni santorali sono palii, anelli, quintane, uniti alle cacce dei tori, ai giochi con le balestre e con gli archi, alle corse delle meretrici, alle sassaiole e alle battaglie con i pugni. L’orizzonte festivo dei santi – sottolineato spesso dagli atti di obbedienza e contestualmente di oblationes, omaggi alla Madonna (Assunzione, Annunciazione) e ai santi più popolari (Martino, Terenzio, Nevolone) in ordinato corteo di autorità comunali insieme alle Corporazioni delle Arti, Anziani, consiglieri comunali e consoli delle Arti tramite l'offerta di ceri e palii – si accosta anche a quello profano del carnevale con la quintana, un bersaglio mobile conformato sull’immagine di un soldato islamico abbigliato in fattezze orientali, dal quale si desume il nome di giostra al Saracino o al Moro. Nella Faenza pontificia il Moro ha fortuna perché pesano i filtri culturali e storici, che già dalla seconda metà del Quattrocento rinnovano la tradizione annibalica del nemico di Roma in relazione agli Ottomani, desiderosi del dominio del Mediterraneo. Fioriscono così studi e interessi per il mondo culturale bizantino, ma sono gli eventi storici, ricordati sul versante della cristianità per le innumerevoli vittime dei frequenti raid musulmani, ad incrementare in Italia e in Europa la smania di notizie sulla civiltà ottomana. Lo attesta la ricca storiografia sulle ‘cose de’ Turchi’, sulla loro vita e sui loro costumi. Il conflitto tra mondo musulmano e cristianità si fa notare in tutta la sua drammaticità anche in area adriatica. Le ferite per le razzie dei Saraceni sono vive nella memoria popolare ma vengono cicatrizzate dalla vittoria di Lepanto del 1571.

Il valore simbolico del cavaliere

Il palio, si diceva, è il premio consegnato al vincitore dal podestà su pronuncia del Consiglio degli Anziani in segno di riconoscimento e non ha tanto un valore venale quanto simbolico: un drappo in tessuto, una porchetta e un gallo con spezie che non fanno ricco il vincitore, non cambiano la vita del cavaliere. Conta però la fama, la risonanza e la visibilità del cavaliere nel contesto urbano, allora quanto oggi, rappresentando in qualche modo il milieu culturale e politico della città e dei suoi signori, dei suoi antichi codici cavallereschi confluiti nell’ibridismo storico ed epico del repertorio di gesti propri del cavaliere e del cerimoniale da osservare.
Al cavaliere è riconosciuta la destrezza, la precisione nel colpire il bersaglio moresco, la capacità di gestire con equilibrio i propri istinti fisici disciplinando finanche i suoi portamenti. Elemento distintivo del Niballo è la corsa, la velocità progressiva verso ‘quel segno o bersaglio, nel quale il cavaliere, venendo con impeto, nel correre con l’armi, s’aggiusta’ (Alessandro Massari Malatesta, Compendio dell’heroica arte di Cavalleria, 1600). Molta dell’iconografia che illustra questo esercizio evidenzia la tensione che vibra nel cavaliere in un tutt’uno variegato di colori e nell’impeto agonistico, con il suo cavallo, l’arma, il costume e il paramento.

Approfondimenti:
Le radici storiche del Palio del Niballo
Crepuscolo ottocentesco del Palio di San Pietro
La rinascita del Palio moderno
Cenni dell'origine e uso della bandiera


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