Pietro Casadio chiamato Piròn, artista del varietà

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Pietro Casadio chiamato Pirón, artista del varietà
Angelo Emiliani


In comune col grande Bagonghi - ovvero Andrea Bernabè - Pietro Casadio aveva le origini faentine, la passione per lo spettacolo e la statura: i suoi 127 cm da capo a piedi contro i 110 dell’altro. Non riuscì a eguagliarne la fama, ma un posto gli spetta comunque nella galleria dei romagnoli che si sono fatti strada a dispetto delle mille difficoltà contro le quali hanno dovuto combattere tutta la vita. Nato l’11 novembre 1900, risultò ben presto evidente la malformazione che una sorte maligna gli aveva riservato. Era però sveglio ed intelligente, così che il padre Luigi pensò bene di avviarlo agli studi per dargli un avvenire che non lo costringesse a lavori manuali e faticosi per i quali non era certamente tagliato. I progetti però naufragarono già alla terza elementare: Pirón - così lo chiamavano, anche se sarebbe stato più appropriato Pirì - di libri e quaderni non volle più saperne.  Fu allora mandato a bottega dal calzolaio Virgiglini, presso il quale imparò il mestiere dimostrandosi volonteroso ed abile con trincetto, lesina e spago. La sua costituzione fisica e il consiglio del medico non gli permisero di continuare. Nell’età in cui gli altri stavano prendendo la loro strada, lui si ritrovava a partire daccapo. Capitò che una sera, tornando a casa dal teatro dove aveva assistito alla rappresentazione di un’opera lirica, incominciasse a canticchiare i brani delle romanze che gli erano rimasti in testa. Scoprì di avere orecchio e una bella voce, gli piaceva.


Pietro Casadio in abito di scena.
Fu quasi una folgorazione, ecco cosa poteva fare: darsi al canto. Prese le prime lezioni dal maestro del teatro Apollo di Forlì, un certo Bianchi, poi fu il comico napoletano Bisaccia a insegnargli i rudimenti della mimica. Ormai era pronto per il grande passo: Pietro Casadio debuttò nel 1921 all’Arena Borghesi, cantò alcune canzoni in voga - Pardon, Caffè espresso, Ah! quel piedin… - divertì con battute e mossette. Fu un successo.  Passò quindi ad un caffè-concerto di Lugo poi, con la Compagnia di varietà Bruna nel ruolo di macchiettista, si presentò a Macerata, Porto Civitanova, Iesi, Ancona e in altre città marchigiane. In seguito andò a Taranto. Un periodo difficile, dovuto a questioni di salute, lo ridusse sul lastrico. Una condizione, questa, ben nota a quasi tutti i protagonisti minori dell’avanspettacolo. Le due lire che gli restavano furono appena sufficienti per pagare il viaggio in treno per Napoli. Nella galleria Umberto I incontrò un impresario il quale, uditone il nome (che forse conosceva) e squadratone la figura, lo prese in prova per tre giorni mettendogli in tasca un modesto anticipo.  Anche sotto il Vesuvio il “nostro” seppe farsi valere: già dalla seconda serata il suo numero passò da inizio a fine spettacolo, il posto più ambito da ogni artista del varietà perché l’esito della loro esibizione poteva decidere il gradimento del pubblico sull’intera recita. Fu poi il proprietario di un caffè-concerto a scritturalo. Questi aveva anche una barca messa a disposizione dei clienti per gite a Sorrento, Castellammare e altre località della costa. Oltre al pranzo, il costo del biglietto prevedeva anche il divertimento. Toccava a Pietro Casadio assicurarlo, ma l’esordio fu un fiasco: il mal di mare gli impedì di articolare una sola battuta o di attaccare una canzone. Andò meglio nelle giornate seguenti, tanto che l’impresario lo considerava ormai l’attrazione in grado di far andar bene gli affari. Cessato l’ingaggio, la successiva tappa fu Lecce dove entrò nella Compagnia equestre Bizzarro. Ciò che più gli piaceva era cantare e divertire con le sue macchiette, ma dovette improvvisarsi clown, fondendo nel nuovo ruolo tutte le cose che meglio gli riuscivano. Gli andò bene ancora una volta e si guadagnò applausi ed ammirazione.


1908,  a sinistra vecchia immagine del Circo Equestre Bizzarro ,
a destra l'Arena Borghesi negli anni '30.



Lo spartito di "Ah! quel piedin...".

Non mancarono persino inviti ad esibirsi in case di famiglie distinte e facoltose, seguiti quasi sempre da generose ricompense. Da un farmacista, nella cui abitazione cantò con l’accompagnamento al pianoforte della signorina di casa, ricevette una cassa di vestiti da passeggio e da camera che, con ogni probabilità, fu poi costretto a vendere risultando di taglia decisamente inadatta alle sue misure.
Il circo Bizzarro gli dedicò una “beneficiata” - una serata in suo onore e il cui ricavato gli spettava - nel corso della quale entusiasmò con esercizi acrobatici, mimiche, canzonette e dando fondo al suo repertorio. Il giro fra gli spettatori con la “guantiera” (un vassoio) fruttò la bella somma di trecento lire, quanto riceveva un impiegato in due-tre settimane di lavoro.  Vera mascotte dell’ambiente, era benvoluto da tutti e spesso, al termine dello spettacolo erano in tanti a volerlo nella comitiva per concludere una piacevole serata al caffè o in trattoria. Sapeva amministrarsi e si rendeva conto che la vita del circo non era quello che faceva per lui. Salti mortali, giochi di equilibrio, cadute che facevano ridere gli altri ma che gli procuravano acciacchi, lo convinsero a tornare agli antichi amori: il palcoscenico dei teatri di varietà e i caffè-concerto dove si sentiva più a suo agio con canzoni, arguzie e spiritosaggini che strappavano invariabilmente risate e battimani.  E’ tutto qui quello che sappiamo di Pietro Casadio. Forse può bastare per considerarlo fra i protagonisti di un mondo dello spettacolo scomparso ormai da decenni, ma che ha divertito intere generazioni.


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