Carlo Goldoni scopre la ceramica in Romagna
di Giuseppe Dalmonte
La Romagna ricorre varie volte, come terra di soggiorno o di transito,
nella narrazione che il celebre commediografo farà in età avanzata,
della sua vita movimentata fin dalla fanciullezza dai viaggi, sia per i
frequenti trasferimenti professionali in varie città italiane del padre
medico sia per ragioni di studio o professionali proprie, come avvocato
e scrittore di teatro. Il dottor Giulio Goldoni, che non “poteva star
fermo in verun luogo”, mania che lasciò in eredità ai figli - come
affermerà Carlo nelle Memorie -, di ritorno da Modena dove si era
trasferito per sistemare affari di famiglia, passando da Ferrara gli fu
proposta un’occasione molto vantaggiosa: di stabilirsi nel grosso borgo
di Bagnacavallo, “ricchissimo, fertilissimo, e di sommo commercio”, in
qualità di medico condotto aggiunto, con lo stipendio di scudi romani
dodici al mese. Era l’anno 1729 e il dottor Giulio esercitava da oltre
un decennio con successo la professione medica nelle varie città in cui
si era trasferito via via dopo il soggiorno romano dedicato agli studi
della materia: Perugia, Chioggia, Modena, Udine, Gorizia, Pavia.
Cresciuto anch’egli con la passione letteraria e per il teatro, tanto
da far costruire nella casa veneziana un teatrino per burattini, che
tanta influenza avrà sulla vocazione teatrale del figlio maggiore
Carlo, cercò di seguire gli studi del figlio orientandone le scelte
prima verso la medicina, poi verso gli studi giuridici facendogli
ottenere nel prestigioso collegio Ghislieri di Pavia un posto molto
ambito dal quale tuttavia il giovane studente sarà poi espulso per una
satira contro le ragazze pavesi.
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Il libro delle "Memorie" di Carlo Goldoni pubblicato nel 1788 in cui parla del suo breve soggiorno a Faenza.
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Ritratto di Carlo Goldoni
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A Bagnacavallo, che a quei tempi faceva parte della Legazione di
Ferrara, il dottore-fisico Giulio Goldoni veneziano, “medico di
campagna di questa terra”, venne presto raggiunto prima dalla moglie
Margherita Salvioni, poi dal figlio Carlo ventitreenne, reduce da un
impiego di aiuto cancelliere a Feltre, ma non ancora addottorato. Nel
frattempo “Mio padre aveva avuto una fiera malattia mortale, e l’unico
suo rammarico era quello – diceva egli – di morire senza vedermi. Mi
vide, ma questo reciproco piacere non fu di lunga durata”. Il soggiorno
bagnacavallese di Carlo Goldoni, secondo il racconto delle Memorie,
risalenti alla tarda età del commediografo, dovrebbe collocarsi negli
ultimi mesi di vita del padre, cioè all’autunno-inverno del 1730-31,
quando per una ricaduta della “febbre maligna” che l’aveva colpito
l’anno precedente, nel giro di due settimane spirò “sull’ore 5 e un
quarto di notte”del 29 gennaio 1731 ricevendo sepoltura nella
locale chiesa di S. Girolamo “nell’arca del sig. Bartolomeo Gajani in
faccia all’altare di S. Giuseppe”, in età “d’anni 56 in circa” secondo
alcune vecchie epigrafi, ma secondo più recenti biografi non contava
ancora i 50.
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Aspetto di vita quotidiana ai tempi di Carlo Goldoni
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Al breve soggiorno bagnacavallese del Goldoni va ricondotto anche il
Viaggio a Faenza che lo scrittore colloca tra il suo arrivo a
Bagnacavallo, e la morte dell’amato genitore, che ritrae mite e
indulgente, in un ritratto dai contorni piuttosto sfumati. Il dottor
Giulio, dopo aver presentato con orgoglio il figlio alle migliori
famiglie del paese, decide “per procurarmi nuovi piaceri” di condurlo a
Faenza, “assai graziosa città della Romagna”, per svagarlo con nuovi
interessi e incontri. Sulla città del Lamone Goldoni scrive che non vi
sono “gran cose da vedere” ma vi “fummo benissimo accolti”, in
particolare dal marchese Spada, che forse l’ospitò o l’intrattenne. “Fu
in questa città, dove si cominciò a conoscere quella materia argillosa,
composta di creta, e sabbia, di cui si è poi fatta quella terra
smaltata, detta dagl’italiani Majolica; e dai francesi Fayence. Vi sono
in Italia molti piatti di questa terra, dipinti da Raffaello d’Urbino e
dai suoi scolari. Questi piatti sono contornati di eleganti cornici, e
si custodiscono preziosamente nelle Gallerie di pitture. Io ne ho poi
veduta una copiosissima e ricchissima collezione a Venezia nel Palazzo
Grimani a S. Maria Formosa”. Il soggiorno faentino, seppur breve perché
non oltrepassò la durata di una settimana, fu contrassegnato oltre che
dall’apprezzamento delle maioliche locali anche da alcuni spettacoli
teatrali come “alcune commedie, date da una compagnia volante”, nei
locali del Palazzo del Podestà. Infatti, fin dal 1723, su progetto di
Carlo Cesare Scaletta e per iniziativa della celebre Accademia dei
Remoti, il salone del medievale palazzo faentino era stato adibito a
teatro pubblico con palchetti in legno e con cavea suddivisa in tre
ordini, che accolsero spettatori, durante la stagione della fiera di S.
Pietro e del carnevale, fino all’inaugurazione nel 1788 del moderno
teatro, progettato da Giuseppe Pistocchi, che avrà l’onore di
rappresentare varie e celebri opere goldoniane.
Giuseppe Dalmonte
(pubblicato su In Piazza, febbraio 2013)
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