Evangelista Massi

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Buon Natale!... cun la Jacmẽna

di Giuliano Bettoli

da: Il Piccolo, venerdi 20 dicembre 2013

Siccome con quest’anno sono già 15 anni di fila che scrivo qui per Natale, ció, vi volevo mandare gli auguri a uno per uno. Ma non non sono stato buono di trovare una cartolina che mi andasse bene. In buon conto per farvi gli auguri a tutti e tutti in una volta, allora adopero questa fotografia della nostra simpatica Jacmẽna che è nel nostro grandioso Duomo. Anche perché, così, accontento la signora Graziella di Merlaschio, e accontento tutti noi. Perché tutti - diciamo la verità - quando andiamo in Duomo, ci domandiamo, guardando sul primo pilastrone di fronte all’altar maggiore: “Mo che cosa ci sarà mai scritto in tutte quelle lettere su quel blacco nero con il quale la nostra Jacmẽna si copre, pudicamente, le sue nudità, anche se è secca come un chiodo e delle voglie ne smuove proprio poche?”.
Come al solito mi ha dato una grande mano il mio amico e braccio destro Miro Gamberini che in due e due quattro mi ha trovato tutte le notizie. E ci dico grazie anche per voi. Dunque, quel monumento lì è fatto in tre parti, una sopra all’altra: di sotto c’è la Jacmẽna, ovverosia una morte gialla (è di marmo di Siena), col blacco nero (è di marmo di Como) e le ali aperte di color bigio (è di marmo di Nonlosò). Più su, dentro un tondo, c’è il ritratto del  morto (è di marmo bianco di Carrara) su un fondo nero con un drappo annodato (questo è di marmo rosso di Verona). E, finalmente in alto di posta, in marmo bianco, dentro a uno scudo, c’è lo stemma della famiglia Masi. Adesso, se avete pazienza, a v’spiégh ignicôsa. Il signore defunto del ritratto si chiamava Evangelista Masi, ed era nato nel 1594, circa, a Caldarola, un paesino in provincia di Macerata. Ció, era un pezzo grosso, un nobile. Quindi, lui, Evangelista, invece di fare di mestiere magari dell’impiegato comunale come me, fece il mestiere dell’ “uomo d’armi”. Prima era stato al servizio della Repubblica di Genova, poi nell’esercito di Sua Maestà Cattolica l’imperatore d’Austria, e nel 1632 si era trovato a combattere contro gli Svedesi e i Sàssoni, nella famosa battaglia di Lutzen, nella quale morì re Gustavo di Svezia. Poi passò al servizio del Papa il quale prima lo fece Governatore di Romagna e poi Comandante Generale delle Milizie Pontificie della Romagna. Aveva proprio quest’ultima carica, quando morì a Faenza (non sappiamo di che cosa ) l’11 maggio del 1664, quando aveva 50 anni. Chissà quanti mòccoli disse.
Mica lui, Evangelista Masi. Ció era morto, cosa vuoi che dicesse dei mòccoli? No, i mòccoli li disse il suo erede! Si chiamava Flaminio Mòrulo. “Perché li disse?”. Ma perché, ció, un monumento come questo, con tutti quei marmi speciali colorati che adoperò lo scultore, sicuro che venne a stare una bella bolladina di quattrini. L’erede di Evangelista Masi? Si ebbe da sagatare a pagarlo! Il bello poi è che non sappiamo briciolo chi è lo scultore. Camillo Rivalta, uno studioso faentino, ha scritto che “per la somiglianza che esso ha coi due monumenti dei papi Urbano VIII e Alessandro VII del Bernini (1598-1860) che si trovano in San Pietro a Roma, si ritiene che sia opera di qualche buon scolaro di quello scultore”. E pazienza. Però, ció, ignoto quanto vuoi, ma bravo quello scultore lì, c’è poco da dire: bravo
L’iscrizione sul blacco nero è in latino, e allora ve la stendo in italiano.
Dice: Evangelista Masi, nato a Caldarola nel Piceno, dopo aver meritato la fama della gloria militare con gli Austriaci, passò negli accampamenti pontifici sotto Urbano VIII come Comandante della Cavalleria, poi fu Commissario di tutta la Cavalleria Militare della regione Flaminia Emilia a Ferrara, fu  Generale della Cavalleria, Protribuno in Umbria e in Romagna, Governatore delle Armi, Prefetto della Rocca di Ferrara: dovunque fu uno straordinario istruttore di organizzazione militare. Qui, infine, giace la sua spoglia mortale. Morì l’11 di maggio del 1654 all’età di 60 anni. Flaminio Morulo, suo erede, pose (questo monumento). Insomma, in quel blacco nero, che sotto si intravvedono le ossa secche della Jacmẽna, non è che ci siano scritte proprio delle cose speciali. Sì, dei titoli ne aveva una massa! Mi nunẽ avrebbe detto ch’l’avéva piò tètul lò che una vaca burëla. Per Faenza  era un foresto che il Papa l’aveva mandato qui a badare ai suoi soldati e qui è morto. Il suo unico merito, per noi, è che, morendo, ci ha lasciato la nostra bella Jacmẽna. Adesso però, che ve l’ho detto, quando ci guardate, ci potete dire un requiem a Evangelista Masi. “E ora - come dicono in Tivù - cambiamo decisamente argomento”.
Ci mettiamo tutti davanti al Presepio e attacchiamo un sermone di Ugo Piazza: Chi ël mai che bël burdël cun du occ ch’al pê dö stël... sino in fondo. E così ci diamo il Buon Natale, e anche il Buon Anno perché ci torniamo a sentire solo in gennaio. Buon Natale! Con tutto il cuore.


Stemma famiglia Massi.


In Duomo adesso c'è il  riscaldamento, ma ci pensate al freddo che ha patito d'inverno la nostra Jacmẽna nei 349 anni da quando è lì per aria, vestita così "in  spada"? Lei praticamente, funziona da lapide funeraria di Evangelista Massi, il signore ritratto più su. Badate bene che grazie al "Piccolo", è la prima volta che a Faenza il suo cognome viene scritto esatto: "Massi". Prima avevano sempre scritto  "Masi". La Foto l'ha fatta Miro Gamberini


Ritratto di Evangelista Massi.







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