DA BAGNARA A BRISIGHELLA, I CASTELLI PIÙ BELLI
Sandro Bassi
Quello dei castelli rappresenta per molti
versi un «problema» nel gran mondo delle risorse
tuiristico-paesaggistiche locali. Da un lato l'incuria, in molti casi
destinata ad aggravarsi per l'attuale mancanza di fondi, dall'altro
spesso una banalizzazione. perché non si capisce come mai un castello
per attirare visitatori abbia bisogno di pozzi a rasoio (mai esistiti:
per eliminare nemici c'erano sistemi assai più semplici), leggende a
tinte fosche con congiure e ammazzamenti (questi si, esistiti anche se
in misura minore di quanto si voglia dato che di norma i castelli
funzionavano come presidi del territorio, ne più ne meno di un'attuale
caserma dei Carabinieri), fantasmi in catene e sale di tortura
possibilmente ancora arredate con tutto il macchinario d'epoca. Ma
bando alle lamentele, visto che questa è una rubrica di proposte, anche
perché la Romagna possiede una rete di rocche medievali e
rinascimentali di prim'ordine, apprezzabilissima per caratteri storici,
architettonici, ambientali, senza alcun bisogno di riesumare la visione
romantico-ottocentesca del castello scrigno di misteri. Lasciamo anche
perdere la solita polemica sui tanti che sono stati magari nei castelli
della Loira e mai ad Oriolo dei Fichi,
perché ciò rientra in una diffusa visione di turismo miope, anzi - è
proprio il caso di dirlo - presbite. Iniziamo dal faentino dove
peraltro manca la rocca urbana
– a differenza di città analoghe come Imola, Lugo, Forlimpopoli, Rimini
o la stessa Ravenna, dove essa, ben valorizzata, è oggi un'attrazione
straordinaria - distrutta a meta Settecento dal Vescovo Cantoni per
realizzare l’ospedale tuttora esistente; rocca faentina per eccellenza
è quella di Oriolo, sulle prime colline a sud-est della città, di
grande fascino sotto tutti i punti di vista incluso quello
naturalistico dovuto alla bellezza del piccolo ma significative parco
che la racchiude. In estrema sintesi, accantonando le dissertazioni
sulle antiche origini, basterà dire che l’edificio che vediamo è del
1476, su committenza di Carlo II Manfredi che si avvalse di un
architetto ignoto ma geniale e assai aggiornato, il quale concepì il
mastio a pianta esagonale robustissimo (il 60% del volume è occupato da
muri, quindi con prevalenza dei pieni sui vuoti) arrivato ai giorni
nostri senza peraltro mai sparare un colpo: di fronte a Cesare Borgia
calò le braghe per l'immediata resa del castellano dopodiché, caduto
fra le grinfie pontificie perse il suo valore strategico e pian piano
decadde.
La rocca di Brisighella in una cartolina di Giuseppe Ugonia.
|
La rocca di brisighella in una cartolina di Tommaso Dalpozzo.
|
La rocca e la torre dell'orologio di Brisighella oggi.
|
La rocca di Brisighella oggi.
|
II nome del grande Giuliano da Maiano come
progettista, sempre fatto per ragioni tradizionali e deduttive in
quanto architetto di fiducia dei Manfredi è presente a Faenza proprio
in quegli anni per il cantiere della Cattedrale, e stato più volte
messo in dubbio dagli specialisti per confronto con opere sue certe ma
stilisticamente assai diverse: è il caso della vicina Rocca di Montepoggiolo,
toscana e oggi forlivese, distante da qui pochi chilometri e ben
visibile verso est anche se non accessibile.Visitabile nei periodi di
apertura (d'estate sabato e domenica e, con intrattenimenti
musical-enologici, la Torre di Oriolo è oggi restaurata e potentemente
suggestiva, soprattutto per la sovrapposizione dei sei piani interni
collegati da una magnifica scala a chioccola di 101 gradini monolitici
(spungone e arenaria) la quale a sua volta conduce alla terrazza
sommitale ovviamente panoramica, più che mai di sera. Neanche il più
frettoloso dei visitatori può tralasciare un successivo salto a Brisighella,
dove la rocca sorge imponente su uno sperone di gesso, ottimamente
conservata malgrado alcuni disinvolti ritocchi del primo '900 e degli
anni Sessanta. Ancora una volta ai pregi architettonici (peculiari
soprattutto per quanto riguarda le gallerie sotterranee del lato ovest,
perfettamente attrezzate dai Veneziani fra 1503 e 1509 per la difesa
con moderne armi da fuoco) si uniscono quelli ambientali dovuti alla
fantastica posizione e al panorama che fonde mirabilmente la
«geometrica perfezione» delle campagne coltivate con la selvaggia,
riarsa integrità dei gessi e dei vicini calanchi.
La rocca di Riolo Terme nel 1849, in una cartolina di Tommaso Dalpozzo.
|
La rocca di Bagnara in una cartolina di Tommaso Dalpozzo.
|
La rocca di Riolo Terme oggi.
|
La rocca di Bagnara oggi.
|
Rocche tipologicamente analoghe si trovano a Riolo
Terme e a Bagnara (quest'ultima con aggiunte rinascimentali, costituite
da due loggette pensili di epoca sforzesca, pressoché uniche nel loro
genere), impreziosite anche dai due musei interni, rispettivamente del
Paesaggio e Archeologico. Un discorso complesso riguarda i ruderi,
presenti sull'Appennino a centinaia, spesso con motivi di interesse non
inferiori a quelli delle più celebrate rocche urbane. Moderna tendenza
della castellologia e di valorizzarli come tali, consolidandoli per
impedire ulteriore degrado ma senza improbabili e falsificanti
ricostruzioni. I casi locali più importanti sono Ceparano, Modigliana,
Rontana. Soprattutto quest'ultima è oggetto, fin dal 2007, di
un'impegnativa campagna di scavi condotta dal Dipartimento di
Archeologia dell'Università di Bologna: oltre al doppio cerchio di mura
due-trecentesche e ai resti di un torrione in mattoni e pietra, prima
del tutto invisibile, sono state messe in luce strutture produttive e
artigianali (fornaci, forgia per metalli, conserve alimentari e uno
spettacolare sistema di raccolta dell'acqua piovana con quattro
cisterne e pozzo centrale) che rivelano la plurisecolare permanenza,
quassù a 480 metri su una delle cime più strategiche della Vena del
Gesso, di una comunità stabile di oltre cento persone. A riprova che
l'archeologia, oltre a riportare a galla il nostro passato, può esser
creazione di nuove risorse turistiche.
|