Da Faenza a Mosca l'avventurosa vita di Giovanni Bertoni

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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 Storia Moderna


Da Faenza a Mosca l'avventurosa vita di Giovanni Bertoni

di Luigi Solaroli


Giovanni Bertoni, figlio del carrettiere Antonio Rossi e Clementa, nacque a Faenza il 27 Aprile del 1906. Era tubercolotico e zoppo alla gamba sinistra, per questo era soprannominato “e zop d’Badiet. Fervente comunista, dal 1922 era oggetto di ripetute percosse e azioni violente e punitive da parte delle squadre fasciste per il suo impegno politico. Il 7 aprile del 1925 Giovanni Bertoni subì l’ennesima aggressione con manganelli e nervi di bue da due diverse squadre di fascisti. Stanco di queste continue violenze dirà al padre la sera: “a me in un ciapa piò”.

Giovanni Bertoni.
Il pomeriggio dell’8 aprile incontrò in piazza due compagni, Domenico Gallina e un militare di Forlì di cui era amico e che doveva rientrare al reggimento. Da Gallina si fece prestare la bicicletta, una bicicletta rossa verniciata a mano, per accompagnare l’amico. All’altezza della Chiesa dei Servi il militare, mentre pedalava a passo d’uomo, urtò violentemente con il gomito lo squadrista Giuseppe Ghinassi di anni 23, che camminava insieme al camerata Guglielmo Volterra di anni 22. I due fascisti reagirono con violenza, ma prima di passare alle mani, Giovanni Bertoni estrasse una rivoltella e sparò uccidendo i due fascisti. Sparò anche a un ufficiale della milizia che passando di lì, volle intervenire: era il conte Zauli Naldi che, colpito, riportò ferite non mortali. Fra la gente si diffuse il panico e la confusione favorì la fuga del Bertoni che a Faenza non verrà mai più rivisto, almeno in pubblico. Dopo il gesto di Bertoni, Gallina, sentendosi complice involontario e per non essere catturato dai fascisti, si rifugiò per alcune notti in una cantina. Dopo pochi giorni, stanco della latitanza, tornò a dormire a casa sua sentendosi ormai fuori pericolo. I fascisti però lo attendevano e Gallina cadde nelle loro mani. Fu portato alla sede del Fascio in Corso Mazzini, dove fu interrogato e torturato perché rivelasse il nascondiglio del Bertoni, ma dopo alcuni mesi di arresto, non essendo emersa alcuna prova a suo carico, fu prosciolto.
Ma le Camicie Nere non desistettero. L’occasione venne la sera dell’11 ottobre dello stesso anno. Mentre Gallina si trovava al Luna Park della Cavallerizza, fu attirato in un’imboscata da una donna che lo avvicinò allo spaccio di Porta Ravegnana dove era entrato per acquistare le sigarette. Seguendo la donna, ingenuamente, cadde nella trappola e fu ucciso con ventisette pugnalate.
Il duplice omicidio e il ferimento del conte che apparteneva a una delle più note famiglie, sconvolsero la città. I fascisti intendevano attuare un’esemplare vendetta, ma l’ordine delle autorità politiche fu categorico: ogni rappresaglia era vietata, così come ogni forma di violenza. Il regime non voleva disordini e ne approfittò per dimostrare saggezza e fiducia nelle istituzioni. Bertoni si eclissò e fu emesso contro di lui un ordine di cattura per tutte le prefetture del Regno e frontiere. Il partito comunista clandestino lo fece emigrare passando per la Svizzera, la Germania, fino all’Unione Sovietica ove fu accolto dalla comunità dei fuoriusciti italiani con molta cordialità.
Questo gruppo d’italiani aveva una certa autonomia fino all’attentato di Kirov (1) avvenuto nel 1934, dopo il quale si scatenò una feroce repressione stalinista che portò alla soppressione del 70 per cento dei fuoriusciti italiani, ma il Bertoni riuscì a scampare. Mentre lavorava in fabbrica, frequentò i corsi di lingua russa e, visti i buoni risultati, fu ammesso all’università del Partito, la Kunmz, anche detta la “Zapada” che aveva sede a Mosca e dalla quale uscirono tutti i quadri del comunismo internazionale. Iscritto con lo pseudonimo Giacomo Borello, diede di sé ottima impressione, tanto che i dirigenti del partito lo consigliarono a Togliatti definendolo “una speranza per il Partito Comunista Italiano”.
Chiamato come traduttore nelle scuole per stranieri, entrò a fare parte del Komintern assieme ai quadri italiani Germanetto, Vidali, Barontini, Secchia e Robotti, il famigerato cognato di Togliatti, responsabile dei fuoriusciti connazionali.
Nel 1933 ebbe luogo un episodio che getterà nuova ombra sulla personalità di Bertoni. Il 10 dicembre all’hotel Mayak di Mosca, uccise, insieme ai fuoriusciti Luigi Capanni e Adolfo Bonciani, un antifascista fiorentino emigrato clandestinamente in Russia e operaio nella fabbrica di cuscinetti a sfera Kaganovich. Fu ucciso perché non faceva mistero dello scontento della vita che conduceva a Mosca fra il freddo e la fame, rammaricato dal fatto che non poteva inviare denaro alla sua famiglia che in Italia viveva in stato d’indigenza. Per questo, dopo tante esitazioni, si era rivolto all’ambasciata italiana a Mosca chiedendo il rimpatrio. La sciagurata decisione gli fu fatale. Robotti ne aveva deciso l’eliminazione in quanto comunista non affidabile. Convocato all’hotel Mayak, fu colpito da numerose coltellate che lo portarono alla morte in pochi giorni. La dedizione di Bertoni al partito fu completa e credibile agli occhi dei dirigenti sovietici specie dopo questo episodio. Fu nominato segretario del Pronto Soccorso, la MORP, potente organizzazione di soccorso internazionale “per il trionfo della rivoluzione”. Si sposò con un’impiegata del ministero del commercio, Zina Fiordorova. Ma la paura d’infiltrati italiani non era cessata nei quadri dei dirigenti sovietici. La polizia segreta, la NKVD della sezione Quadri del PCI presso il Komintern, ordinò a Bertoni, alias Brunello, un minuzioso controllo sugli italiani antifascisti in tutto il territorio sovietico. Lo aiutò la compagna Rita Montagnana, moglie di Togliatti, che là viveva con lo pseudonimo Mansa Ercoli. Collaborò, durante la Seconda Guerra mondiale, a Radio Milano Libertà, che da Mosca trasmetteva propaganda di partito a tutta l’Italia settentrionale. Nel 1942 fu paracadutato con altri compagni italiani in Jugoslavia, dove prese parte alla lotta partigiana diretta da Tito. Alla liberazione di Roma, Bertoni fu paracadutato in Bosnia, raggiunse Bari poi Roma, ove organizzò una rete di spionaggio collegata con Mosca. Agiva con documenti falsi, intestati a Giuseppe Ceresaccio. Nel primo governo De Gasperi, Togliatti reggeva il Ministero di Grazia e Giustizia Giustizia. Lo aiutò a essere assunto al ministero degli Esteri sotto il nome francese di Emile Simalti. Qui svolse la sua attività di agente segreto per ben quattro anni, fino al 1949 quando fu riconosciuto da un diplomatico che aveva fatto servizio all’Ambasciata italiana di Mosca.
Lasciò Roma in tutta fretta imbarcandosi clandestinamente per la Russia. La guerra fredda non gli impedì di tornare a Faenza per abbracciare i famigliari. Una foto lo ritrae sulla spiaggia di Marina di Ravenna assieme ad un gruppo di faentini. Era tornato forse con l’intenzione di rimanervi, ma fu avvertito che il mandato di cattura per i suoi omicidi era ancora valido.
Fu inviato in Messico col nome di Carlos Espinosa Moreno, ove resse la rete del controspionaggio sovietico, il KGB. I documenti che lo identificavano non furono molto limpidi per cui dovette far ritorno in Unione Sovietica. Stessa missione lo portò in Uraguay col nome di Valentino Marchetti, istriano di Fiume. Aveva compiti di “intelligence” su tutta l’America Latina che, dopo il successo della rivoluzione cubana del ’59, diventerà uno dei teatri d’azione più strategici dell’Unione Sovietica. Mosca gli mandò un’agente spagnola, nome di copertura «Patria» certa Africa de Las Herras, che avrebbe dovuto controllarlo. Entrambi a Montevideo conducevano due attività distinte, lei un salone di moda, lui un rinomato negozio di antiquariato. Per dar maggior credibilità alla coppia, fu ordinato loro di sposarsi. Nel negozio d’antiquariato l’agente Bertoni aveva allestito un laboratorio fotografico e una modernissima stazione radio con codici cifrati. Qui s’incontrava con rivoluzionari del calibro di Che Guevara e politici come Salvador Allende.
Accadde che il mondo non subisse più il fascino delle ideologie dogmatiche e Giovanni Bertoni cominciò a manifestare dubbi sull’efficacia della politica internazionale dell’URSS e nel 1962 si allineò criticamente alla timida evoluzione "autonomista" del PCI specie sulla questione internazionale del movimento comunista, mentre la moglie restò tenacemente fedele alle direttive di Mosca. Negli ultimi due anni della sua vita Bertoni (muore, infatti, il 1° settembre del ’64 a Montevideo), è progressivamente emarginato da quel ferreo regime che con tanto zelo e fedeltà aveva servito.



Giuseppe Ghinassi.

Guglielmo Volterra.

NOTE
1) Stalin approfittò dell’uccisione di Kirov, massimo esponente del PCUS, per liberarsi di tutti i suoi oppositori politici e di quelli che sarebbero potuti diventare suoi oppositori politici in futuro. Con l'avvento del fascismo, nella metà degli anni venti, centinaia di esuli politici italiani, comunisti, socialisti e anarchici, emigrarono in URSS. Molti di loro, dopo lunghi anni di permanenza, quando ormai si erano integrati nella società sovietica, nel periodo delle Grandi purghe, furono accusati di spionaggio, trotskismo o bordighismo (2), poi arrestati e condannati con processi illegali. Le vittime furono stimate in circa duecento.

2) Amedeo Bordiga nato nel 1889. E’ stato un politico italiano. Fu a capo della principale corrente (quella degli astensionisti dello PSI) che portò alla fondazione del Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso di Livorno dello PSI nel 1921. Da militante rivoluzionario, lottò apertamente contro l'egemonia stalinista nella Terza Internazionale e "contro le degenerazioni del movimento rivoluzionario mondiale".




A sinistra, il mandato di cattura
 per Giovanni Bertoni.
Al centro, Giovanni  Bertoni.
A destra,  Stele funeraria della moglie Africa de Las Heras col nome di battaglia «Patria». É sepolta nel cimitero monumentale di Kuntsevskoe riservato agli eroi della 2° Guerra  Mondiale del’ URSS.


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DI GIOVANNI BERTONI

UN FAENTINO NEL KGB
Nel suo articolo  Angelo Emiliani inquadra i drammatici fatti che nell'aprile 1925 ebbero per protagonista Giovanni Bertoni nel contesto delle violenze e dei contrasti - anche interni al fascismo - che portano alla "conquista" di Faenza da parte dello squadrismo. Dello stesso Bertoni vengono poi seguite - sulla base della documentazione conservata nel Casellario Politico all'Archivio Centrale dello Stato - le peripezie fino all'arrivo in Unione Sovietica, il lavoro e lo studio all'Università moscovita "Zapad" (Occidente), il ruolo nella comunità dei fuorusciti italiani.
Nel 1989 la figlia di Bertoni, Svetlana, venne a Faenza per visitare i luoghi in cui il padre era nato e cresciuto. Fu in quell'occasione che Emiliani le espresse la volontà di scrivere una biografia di Giovanni Bertoni, un progetto che lei condivise mettendo a disposizione lettere private e pubblicazioni sovietiche. Dalle lettere si evince la determinazione di Giovanni Bertoni nel combattere per i suoi ideali e nell'assolvere i difficili incarichi affidatigli. Durante la Seconda guerra mondiale, dopo aver lavorato a fianco di Palmiro Togliatti a Radio Milano Libertà, un'emittente in lingua italiana che da Mosca informava e rincuorava gli antifascisti, Bertoni venne paracadutato sulla Jugoslavia nella primavera del '44 e riuscì in seguito a giungere a Roma dove, sotto falso nome, continuò la sua opera di agente segreto.
Tornato a Mosca e sostenuta un'ulteriore fase di preparazione, fu poi inviato in missione Uruguay col compito di coordinare e dirigere la rete spionistica del Kgb di tutta l'America del Sud in collaborazione con Africa de las Heras, una spagnola sposata per meglio dissimulare la sua vera attività.
Nelle lettere inviate alla figlia si coglie il peso della lontananza e il rammarico per aver dovuto sacrificare gli affetti più cari. "Da tanto tempo non ci vediamo - scrive da Montevideo il 22 marzo 1960 - ti ho lasciato bambina e ora sei una ragazza, avrai presto 22 anni. Quanto poco tempo abbiamo trascorso insieme. Non sono stato un buon padre".
Emiliani chiude il suo articolo con queste parole: "Giovanni Bertoni, alias i tanti nomi assunti in quasi 40 anni di vita errabonda e avventurosa, fuggito da Faenza a19 anni, aveva raggiunto il grado di tenente colonnello del Kgb." È  sepolto nel cimitero del Norte di Montevideo sotto il nome di Valentin Marchetti Santi. Le implacabili leggi della clandestinità ne hanno condizionato la vita fino all'ultimo respiro e oltre". (Bergamini M.)

Per chi vuole approfondire l'argomrnto
si consiglia il libro di Saturno Carnoli
L’incredibile storia di un cittadino di Faenza al servizio del KGB

Il faentino che visse in Unione Sovietica al servizio del Kgb. Si tratta di una storia che ha dell’incredibile, una storia vera raccontata da un noto saggista ravennate: Saturno Carnoli.
La vita di Giovanni Bertoni è stata realmente Incredibile, come descrive senza esagerazioni il titolo dei questo interessante libro di Saturno Carnoli. Si tratta in effetti di una vita avventurosa. Bertoni, nasce a Faenza nel 1906, figlio di un birocciaio o meglio carrettiere, è sfortunato già dalla nascita. Bertoni è aggredito dalla tubercolosi, malattia che in quegli anni non risparmia alcuno; inoltre è zoppo ad una gamba, la sinistra. Per tale ragione viene soprannominato "E’ zop d’Badiet". Di Bertoni le cronache d’allora ci dicono che è un irriducibile  comunista - un sovversivo per intenderci, e per tale ragione vigilato giorno e notte dalla regia Questura. In una giornata di aprile del 1925, esasperato dalle continue provocazioni e angherie di cui è fatto segno dai fascisti faentini, uccide a colpi di rivoltella due squadristi, Giuseppe Ghinassi e Guglielmo Volterra, per cui si dà alla macchia, in quanto ricercato dalla polizia del regime. L’allora Partito Comunista,a pochi anni dalla sua nascita in quel di Livorno, sa usare nei suoi confronti la massima protezione, facendolo espatriare clandestinamente in Unione Sovietica. Diverrà cittadino sovietico nell’anno 1930 dove si mette subito in evidenza, nel gruppo dei fuoriusciti italiani, come uno dei più attivi e devoti seguaci allo Stalinismo incombente e contro ogni forma di "deviazionismo". Di lì a poco viene inglobato nelll’OGPU, la polizia politica segreta dell’Urss, genitrice del futuro Kgb. Il 10 dicembre 1933 all’Hotel Mayak di Mosca partecipa all’assassinio del dissidente Adolfo Bonciani, detto "Grandi". I fatti del Mayak – scrive Carnoli – "rappresentano per Bertoni una specie di esame finale», superato a pieni voti, che ne certifica la «totale affidabilità come rivoluzionario". Questo, praticamente, rappresenta l’inizio di una "brillante carriera". In seguito il comunista faentino andrà in Spagna, negli anni della guerra civile, impegnato accanto a Palmiro Togliatti nella lotta contro gli anarchici e i trotskisti del Poum.
Quindi, rientrato in Urss, si infiltra nella Sezione Quadri del Pci presso il Komintern, con il compito di controllare l’attività degli immigrati italiani. Ma non è ancora finita: durante la Seconda Guerra Mondiale, diviene lo" speaker" dell’emittente Radio Milano Libertà, una radio incaricata a fare propaganda verso il Bel paese. Infine, a guerra ultimata, diviene spia in Italia per conto del Governo sovietico e agente segreto del Kgb in Messico e in Uruguay, con nome in codice "Marko". E’ proprio in Uruguay, conosce l’anima gemella sposandola su preciso ordine di Mosca. Una storia questa, piena di fascino dove la moglie, anch’essa con nome in codice "Patria", alias Africa De Las Heras, viene descritta nel libro una specie di Mata Hari stalinista, al servizio a tempo pieno della rete di spionaggio sovietica nell’ America Latina. Un sodalizio, questo, che però comincia a perdere colpi dal 1962, allorché – racconta il Carnoli – "Marko", in linea con la timida evoluzione "autonomista" del Pci, si pone in posizione critica, dissentendo sulla questione internazionale del movimento comunista, mentre la "granitica Patria", resta tenacemente fedele alle direttive di Mosca. Negli ultimi due anni della sua vita Bertoni (muore infatti il 1° settembre del ’64 a Montevideo), viene progressivamente emarginato da quel ferreo regime che con tanto zelo e fedeltà aveva servito.
Da attento cronista quale è, Saturno Carnoli vede nel protagonista, un coraggioso combattente per la libertà ma anche un cinico agente al servizio dell’ideologia stalinista. La mia chiave di lettura è per entrambe le due cose. Perché Bertoni rappresenta davvero quel tipico esponente di quella generazione di comunisti "tutti d’un pezzo", votati anima e corpo al partito, quel partito "chiesa" dove non si discute mai, perchè non si può discutere, in quanto incarna sempre e comunque la causa del proletariato.






Parte del documento usato da Giovanni Bertoni per uscire dall'Uruguay.



Africa de las Heras moglie di Giovanni Bertoni alias Valentino Marchetti colonnello del KGB
La vita di una donna che con il suo "lavoro segreto" ha contribuito a scrivere la storia del  20° secolo
di M.
Bergamini
Afferma un assioma dei servizi di intelligence che la spia migliore è quella meno conosciuta. Questa è la chiave per comprendere la vita di Africa Maria de las Heras, la spia spagnola più decorata del KGB, direttamente legata alla morte di Leon Trotsky.  L'interesse per i dettagli della sua vita sono aumentati dopo la caduta dell'Unione Sovietica, attirando articoli di giornali  in Spagna, Uruguay e in Italia [vedi articolo del quotidiano: La Stampa, qui riprodotto]. Recentementi sono usciti tre libri e un film che raccontano la sua avventurosa storia di spia:"Il mio Nome è Patria - Una spia del KGB in Uruguay -", di Raúl Vallarino nel 2006, la biografia "Patria Una donna spagnola nel KGB", di Javier Juarez nel 2008, e nel 2009 "La muñeca Rusa"(La bambola Russa) di Alicia Dujovne Ortiz, basato sulla  relazione di Africa con lo scrittore uruguaiano Felisberto Hernández, che sposa nel 1948 a Montevideo. Apre un atelier di moda ove tiene nascosta una radio per comunicare con Mosca.  Dopo due anni  divorziano.
Nel 1956 si trsferisce a Buenos Aires dove incontra il nuovo capo dello spionaggio del KGB per l'America Latina il  colonnello Giovanni Antonio Bertoni, alias Valentino Marchetti, Marko. Si sposano lo stesso anno forse per ordine del KGB. Nel 1959 la copia è a Montevideo ove avvia la gestione di un negozio di antiquariato. Montevideo è negli anni sessanta il centro di coordinamento dello spionaggio dell'Urss in America Latina. Si ritiene che siano stati loro a informare Mosca che la CIA stava organizzando nell'aprile del 1961 l'invasione di Cuba per rovesciare il regime di Fidel Castro. L'incursione dopo tre giorni di combattimenti fallisce, è passata alla storia come "Invasione della baia dei Porci". Nel 1967 dopo la morte di Giovanni Bertoni rientra in Unione Sovietica per assumere l'incarico di istruttrice di nuovi agenti del KGB alla Lubianka. Nel 1985 lascia i servizi segreti. È vero che siamo ancora lontani da una storia definitiva e completa del suo operato poichè il rifiuto di Mosca di aprire gli archivi della vecchia rete di spie impedisce di conoscere i resoconti ufficiali di oltre cinquant'anni di attività di questa donna. Nel suo libro Juarez sostiene, che "ciò che viene ignorato non toglie nulla a ciò che è noto". Il suo lavoro, è il prodotto di dozzine di testimonianze dirette, e ricordi storici di ex agenti del KGB. Dalle quali emerge una spia che con il suo lavoro oscuro ha condizionato la storia del 20° secolo.
Muore l'8 di marzo del 1988 è tumulata nel cimitero degli
Eroi dell'Urss di Kuntsevsko di Mosca, al suo fianco è sepolto Ramòn Mercader, assassino di  Trotsky.



Africa Maria del las Heras
 in una delle sue ultime fotografie.

Medaglia dell'Odine di Lenin.



Medaglia per il Coraggio, conferita due volte.
Medaglia Guerrigliera della Guerra Patria.









Africa deLas Heras, con suo  marito Valentino Marchetti (Marko), alias Giovanni Bertoni in una foto del 1959.

  



Di nomi di battaglia, la spagnola «Africa de las Heras y Gavilan», la più leggendaria e caliente Mata Hari della Russia di Stalin, ne aveva tanti: María, Ivonne, Luisa, Znoy. Ma quello che le piaceva di più, nel nativo castigliano, è sulla lapide che le ha innalzato nel 1988 il suo Kgb nel cimitero moscovita di Kuntsevskoe, dove riposano gli Eroi dell’Urss: Patria. Un onore riservato solo all’élite per la spregiudicata, supersexy e spietata colonnella che, in vita, è stata decorata con 2 Stelle Rosse, 1 Ordine della Gran Patria, 3 medaglie (1 per Guerrigliera della Guerra Patria e 2 al Coraggio), 1 Ordine di Lenin. Battendo un record da Guiness: nessuno ha mai sospettato la sua attività.

La sconosciuta storia di questa superagente sposata 3 volte per convenienza, architetta dell’attentato del 1940 in Messico contro il nemico del Piccolo Padre, l’ex capo dell’Armata Rossa Leiba Trotskij, è riaffiorata grazie a una recente biografia dello scrittore uruguayano Raúl Villarino, «Nome in codice Patria, una spia del Kgb in Uruguay» (Editorial Sudamericana, 233 pagine). Al confronto, la ballerina olandese Mata Hari sembra una principiante morigerata.
Nata nel 1910 a Ceuta, una delle 2 colonie spagnole sul Mediterraneo marocchino, figlia di un militare e cresciuta in un convento di suore a Madrid, Africa si è fatta subito notare per la sua ferrea militanza nella Juventud Comunista.
Nel ‘34 è tra i combattenti della fallita Rivoluzione delle Asturie; dopo il golpe del sanguinario Francisco Franco nel ‘36, è in prima linea a Barcellona come agente delle Operaciónes Especiales del Pce. «Nello stesso luogo dove giustiziava i nemici, la pattuglia capeggiata da Africa celebrava poi interminabili orge», ricorda un sopravvissuto. Il coraggio di Africa mixato col sesso viene subito notato da due super 007 dell’allora Nkvd (l’intelligence predecessore del Kgb), l’ungherese Enrö Gero e il russo Alexei Orlov, che l’arruolano e la spediscono a Mosca per imparare il mestiere. Primo incarico: assassinare Trotskij. Compito che la spia a luci rosse adempie magnificamente. Diventa la segretaria del dissidente, è lei a scoprire che la pittrice Frida Kahlo, moglie del muralista Diego Rivera, va a letto con l’unico rivale di Stalin. Poi viene rimpatriata perché Orlov tradisce e passa agli americani.

Durante la II Guerra Mondiale, «Znoy», poliglotta, si copre di gloria. Paracadutata nell’Ucraina sotto il tallone di ferro nazista come capo della controinformazione e della guerriglia, in Francia partigiana con la Resistenza. Nel ‘47, la Lubianka decide di promuoverla nientemeno che «rezident» (capocentro) dell’intera America Latina. Per procacciarsi una copertura insospettabile Africa seduce in una sola notte, dopo averlo abbordato al Pen Club di Parigi, un accanito reazionario che poi sposa, lo scrittore uruguayano Felisberto Hernández.
Una volta stabilitasi a Montevideo, e dopo aver aperto un’esclusiva sartoria per il fior fiore dell’alta società, la rezidente che usava le bollenti grazie come la mitica trasmittente criptata Enigma, divorzia. E, sempre per ordine del Kgb, la spia che ai pochi amici confidava: «la mia patria è l’Urss» si risposa. Con un altro agente, un italiano, «Marko», al secolo Giovanni Antonio Bertoni, apre un raffinato negozio di antiquariato.

Il sesso è sempre la sua arma preferita. La James Bond russa scopre che un importantissimo uomo di governo di Montevideo è gay. No problem: ordina l’arrivo di Nikolai, un argentino che lavora per i russi, e che infiamma la vittima.
Il tutto mentre Patria filma l’incontro hard e poi lo ricatta per anni carpendogli tutti i segreti. Marko peró comincia a condividere le critiche del Pci a Mosca e, guardacaso, la spia italiana cade mortalmente in casa. La polizia sospetta, Patria ha installato la rete in tutto il Cono Sud e il Kgb, nel 1966, le ordina di rientrare nel Paese per cui ha combattuto.
Fine della missione? Macchè: la Mata Hari al cubo ha un’esperienza unica e le sue ultime gesta consistono nel trasmetterla tutta alle agenti dell’Intelligence russe. «Znoy riuscì a carpire a Parigi persino i segreti della Gestapo», osanna un partigiano francese.


             




Le copertine dei libri recentemente
 pubblicati sulla
vita di Africa de las Heras.

Sotto, la locandina del film di Algis Arlauskas di produzione
 iberico-russa sulla storia di Africa de las Heras
"Patria" interpretata da Estrella Zapatero.Prodotto nel 2011
  per il Primo Canale della televisione Russa  in cooperazione con il
  Servizio Sicurezza Federale (ex KGB).
Il regista è un noto attore russo di origine
spagnola, sua madre
 si rifugiò in Russia durante la guerra civile spagnola(1936-39).
   



Decorazioni Militari
A  sinistra "Ordine della Stella rossa.
A destra "
Ordine della Grande Guerra Patriottica della Seconda Classe". La  medaglia della Guerra Patriotica, viene istituita nel 1942. Conferita per le azioni eroiche a soldati, partigiani e ai componenti dei  servizi segreti, aveva due classi, in virtù del prestigio raggiunto. Fino al 1977 è stata l'unica medaglia con diritto di trasmissione per i figli del destinatario. Per tutte le altre, invece, era prevista la restituzione al sopraggiungere della morte.

Il 17 giugno 2013 Fernando Loustraunau per Il quotidiano di Montevideo (Uruguay) "El Observador" racconta la storia di Africa de las Heras

Alcune pagine internet che trattano la Storia di Africa de Las Heras












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