LA BATTAGLIA DEL PANE A FAENZA NEL 1898
Veniero Casadio Strozzi
Aprile
1898. Mentre s'accende la guerra fra Stati Uniti e Spagna ed i primi
assediano Cuba, in Francia è processato Emile Zola per l'appoggio dato
all'affare Dreyfuss. Ma non è che in Italia le cose vadano tanto meglio. Il governo
attraversa un periodo di critica credibilità e forte contestazione, cui
hanno certo contribuito le nostre pretese coloniali con le sconfitte
che ne sono seguite. Dogali da non molto, cui s'aggiungono i settemila
soldati italiani sterminati ad Adua da neppure tre anni dalle
sottovalutate truppe abissine. S'assomma a ciò la crisi agricola collegata alla nascente
industrializzazione, che, con l'indebitamento dello Stato, porta alla
disoccupazione operaia e bracciantile e al conseguente aumento dei
costi alimentari. In particolare di farina e derivati, che
rappresentano la base dell'alimentazione popolare. Il bisogno di soldi governativo si traduce nell'infelice idea di un
ulteriore aumento del prezzo del pane, che passa ai 40 centesimi il
chilo, laddove il guadagno medio orario di un lavoratore non raggiunge
la meta di tale costo. Di conseguenza il malumore dilaga per tutta la
nazione e nascono le prime dimostrazioni e proteste popolari, a
cominciare dal meridione, in cui il costo della vita è ancor più
marcato. La contestazione poi, come una contagiosa epidemia, risale lo Stivale
seguendo l'Adriatico; interessa Macerata, Ancona e si sposta a Firenze,
da dove invade la Romagna. E ancora una volta Faenza sarà al centra
della grave crisi.
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La
questione del pane coinvolge così la cittadinanza, anche se
l'opinione pubblica è ancora distratta da due fatti di sangue che
l'hanno appena stordita. Nell'autunno precedente l'assassinio di
Raffaele
Poletti, un commerciante che, rientrato a sera nel suo appartamento di
via Sarti, vi trova tre ladri. Ne uccide uno a colpi di pistola, ma è
accoltellato a morte dai due compari. Uno di questi rimarrà ignoto,
mentre l'altro è identificato in un certo Primo Lolli, che se ne fugge.
Sarà poi catturato a Pisa e riportato in città per esservi processato.
Invano, perché si suiciderà in carcere. L'altro episodio è dell'ultimo
lunedì di marzo dello stesso 1898 e
riguarda l'omicidio del dottor Giuseppe Bebi, un medico dell'Ospedale
Civile cui un presunto paziente spara a freddo nell'ambulatorio. Un
assassinio premeditato che darà la stura alle più maliziose ipotesi ed
il cui responsabile sarà tardivamente rintracciato nella capitale. Ma
il problema del pane è di ognuno e di ben più drammatica attualità.
Così, dopo molte proteste e mugugni, si realizzerà nella nostra città
quella che il settimanale anticlericale «ll Lamone» titola a tutta
pagina come "L'agitazione della fame". Già da diverse mattine molte
donne si sono recate in piazza "implorando
soccorsi per la miseria in cui versavano, per la fame che erano
costrette a patire causa la mancanza di lavoro e il rincaro del
pane...". Anche nella stessa mattina del 25 aprile, riferisce lo stesso
periodico,"circa 150 donne si sono portate al municipio per
protestare... molte portavano i figli lattanti in braccio". Si forma,
con una certa difficoltà e la collaborazione delle forze
dell'ordine, una commissione guidata dal tenente dei carabinieri per
sollecitare il sindaco, ma questi e diversi assessori sono
momentaneamente a Ravenna. Si promette una riunione di giunta per il
mattino successive, ma il malumore non scema e le proteste si
prolungano fino al pomeriggio al ritorno dei braccianti. |
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Nell'assenza di ogni autorità è la Forza che cerca di
sedare gli animi e invita a sfollare. Ma ecco l'imprevisto. Rientra da
Ravenna il sindaco Tommaso Cicognani che, non avvertito degli eventi,
si presenta tranquillamente
i piazza, dove viene attorniato dalla folla vociante alla quale,
sorpreso e impaurito, non sa dare immediata risposta. Così, mancandogli
l'animo d'affrontare le proteste e temendo il peggio, cerca rifugio
nella vicina farmacia Ubaldini che richiude tosto la porta dopo il suo
passaggio. La folla cerca di forzare il blocco, vanno in frantumi i
vetri del negozio e quelli vicini, mentre altre botteghe accelerano
prudentemente la chiusura. L'unico che tenta, coraggiosamente ma
invano, di placare gli animi è l’ex sindaco repubblicano Giuseppe
Masoni. Da via XX Settembre giunge a cavalleria, mentre si raccolgono
le panche
del mercato cittadino e le sedie del caffè Orfeo per farne una
barricata. Si comincia anche a dissestare il selciato, che così
permette una robusta sassaiola indirizzata alla cavalleria ed ai
negozi. Arriva anche il delegate capo Tringalli con carabinieri e
guardie
municipali, ma è colpito al viso da una sassata. Nonostante ciò e con
notevole sangue freddo egli parla al sottoprefetto Generini
sollecitando un incontro col sindaco. II sottoprefetto promette quindi
alla folla che entro il mattino successive ci sarà un riscontro con le
autorità e si procederà verso una rapida soluzione del problema. La
gente ascolta, mormora, poi lentamente si disperde speranzosa, ma anche
giustamente dubbiosa della disponibilità
municipale che, fino a quel momento e a detta del quotidiano «Il Resto
del Carlino», "non solo si cullava in una inerzia senza esempio per
quanto si riferisce ai lavori pubblici del Comune, ma non sapeva essa
stessa far sentire al Governo con energia i bisogni del Paese".
Una vecchia foto della piazza, teatro della "battaglia del pane".
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Il militare a cavallo ricorda i cavalleggeri che intervennero durante il moto popolare.
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II 26 mattina, martedì, le donne sono in piazza per tempo, anche
se
tardano a venire le borghigiane, invitate da quei parroci a non
partecipare a volgari manifestazioni di massa. Intanto quello che il
sindaco riesce ad ottenere da una testarda
opposizione interna è la riduzione del prezzo del pane a 38 centesimi
(dai 40), futuri lavori pubblici e minestra gratuita per i poveri. È
davvero poco ed i manifesti municipali vengono immediatamente lacerati.
Giungono molte altre donne e gruppi di operai e braccianti che chiedono
ad alta voce pane e lavoro. Ritorna la cavalleria e la piazza è
cosparsa di verdure per fame scivolare i cavalli, mentre cominciano i
vandalismi indirizzati ai negozi ed alle case degli abbienti. Casa
Rossi (dopo il Mazzolani) è devastata e si tenta un incendio al portone
del palazzo Zucchini.
Piazza d'Armi, parata militare di un reparto di cavalleggeri.
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I soldati sono presi a sassate e un tenente viene
ferito. II sottoprefetto sollecita il sindaco ed assessore che si sono
trincerati in municipio e li convince ad una più conciliante proposta.
I lavori sono così garantiti ad inizio immediato, la farina è offerta a
20 centesimi (10 per i poveri) ed il pane a 30 centesimi il chilo.
Viene anche rimesso in libertà l'unico arrestato del giorno precedente.
Gli animi sembrano acquietarsi un poco ma è un fuoco di paglia, perché
al pomeriggio la dimostrazione si riaccende violenta, ritornano le
barricate e la cavalleria sguaina le sciabole. Compare così a
malincuore un terzo manifesto che promette per tutti la
farina a 10 centesimi e il pane a 20 (e il miglior prezzo locale: Russi
a 30 e Cesena addirittura a 35 centesimi). nonché un appalto immediato
alle società bracciantili di Faenza, Castel Bolognese e Russi per il
rialzo dell'arginatura destra del Lamone per una lunghezza di 3
chilometri. La folla finalmente soddisfatta spopola e la città torna
quieta. Ma il
delegate capo Tringalli è sostituito ed il sottoprefetto Generini
congedato entrambi perché troppo concilianti nel sedare una "semplice
dimostrazione popolare". Storicamente per Faenza è un lieto fine,
specie se confrontato con
quanto accade nei paesi vicini dove le contestazioni durano a lungo e
impongono purtroppo malaugurati tributi di sangue: un morto tra
dimostranti a Sant'Arcangelo di Romagna e tre a Bagnacavallo più i
feriti («ll Resto del Carlino» del 3 maggio: "Magazzini e forni
assaltati. Dimostranti uccisi. Carabinieri e soldati
feriti). E questo è sempre poco se confrontato con quanto
succederà a Milano,
dove la sciagurata repressione del generale Bava Beccaris nelle prime
giornate di maggio i concluderà con un bilancio di 118 uccisi e circa
400 feriti, più l’elogio del governo di Roma per la "quiete... così
virilmente stabilita". |
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