Il Canale Naviglio

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Il Canale Naviglio

di Angelo Emiliani

Nell’informare i faentini che il Comune ne ha finalmente acquisito la proprietà “col plauso dell’intera cittadinanza”, nell’estate del 1910 i giornali locali tracciano a grandi linee la storia del canale Naviglio. Una storia della quale non si conoscono neppure le origini tanto è vecchia. In effetti l’idea di collegare la città e il suo territorio al mare - e quindi con Venezia e altre città rivierasche - per incrementare i traffici e i commerci, risale a parecchi secoli addietro. Le strade erano allora pressoché inesistenti o impraticabili: una via d’acqua avrebbe costituito una valida soluzione. Si ha notizia che già nel 1410 il Podestà e il Consiglio degli Anziani tentano di accordarsi con le autorità di Ravenna e di Bagnacavallo per costruire un porto a Faenza.
Per quanto lungimirante, il progetto era rimasto nelle buone intenzioni. La questione torna d’attualità alla fine del 1675, quando il Consiglio Generale faentino affida a tre concittadini - Giulio Torelli, Sebastiano Zanelli e Ottaviano Scaletti - l’incarico di predisporre lo studio per l’escavazione di un canale “che dal mare conducesse barche da carico fin sotto le mura della città”. A firmarlo sarà invece Pier Maria Cavina, ma ancora una volta ci si deve arrendere di fronte alle enormi difficoltà d’ogni genere da superare.

Trascorrono altri settant’anni prima che i magistrati faentini, nell’autunno del 1753, chiedano al ferrarese Romoaldo Bertaglia di mettere a punto il progetto per un canale navigabile che congiunga Faenza al Po di Primaro e quindi all’Adriatico. Eseguito un sopralluogo nei territori interessati di Faenza, Cotignola e Bagnacavallo, il Bertaglia presenta il suo piano l’8 agosto 1754. L’idea consiste nell’immettere nel nuovo tracciato l’acqua del Lamone che giunge fino a Faenza col canale di Carentano (poi canale Maggiore), un’opera iniziata nel 1194 e proseguita nel 1223. Il progetto e la relativa spesa, prevista in centomila scudi romani, vengono approvati dal Consiglio Generale l’11 ottobre 1755 con 22 “sì” e 15 “no”.
Lo scarso entusiasmo che si riflette nell’esito di quella votazione si deve certamente ai timori nel metter mano a un’impresa gigantesca, alle poche risorse disponibili e, soprattutto, ad idee dominanti poco disposte al varo di grandi opere pubbliche. Vanno tuttavia messi nel conto problemi grandi come montagne: l’opposizione dei proprietari dei terreni interessati dai lavori, i tempi biblici nel prendere qualsiasi decisione, gli intrighi e, non ultima, l’insistenza di quanti vorrebbero il canale scavato sulla destra del Lamone. Il progetto Bertaglia trova invece un tenace sostenitore nel conte Scipione Zanelli, “uomo di larghe idee e di propositi arditi”, ma accusato dai detrattori di pensare più ai propri interessi che a quelli della comunità. Controversie e invidie finiscono per tradursi fatalmente in enormi ritardi: presentato a Papa Clemente XIII per l’approvazione sovrana nel 1763, tredici anni dopo il progetto non ha ancor fatto un solo passo avanti.
La svolta avviene nel 1775 quando, a conclusione di un conclave protrattosi per ben 134 giorni, al 265º scrutinio viene eletto Papa il cesenate Giovanni Angelo Braschi. Figura non di primo piano ed estranea alle dispute politiche, Pio VI - questo il nome assunto - si rivela uomo di grandi vedute. Suo, fra le altre realizzazioni, il prosciugamento delle paludi pontine. Il dettaglio non trascurabile sta nel fatto che è cugino per parte di madre dello stesso Scipione Zanelli.
Il conte capisce che nel nuovo Papa può trovare l’interlocutore giusto e nel marzo 1776 si reca a Roma per sottoporgli il progetto impegnandosi a realizzalo a sue spese. La domanda è accolta, previo l’esame da parte di una commissione di cardinali (Caracciolo, Albani, Casali, Corsini e Zelada, ma nel tempo altri si occuperanno della questione). Appena un mese dopo un chirografo pontificio accorda al Zanelli la “libera e assoluta proprietà” del canale, dei mulini, dei maceri per la canapa e il lino, di ogni altro edificio  e dei terreni. In più, la facoltà di imporre un dazio sulle merci trasportate ed altri privilegi.
Dal canto suo, il Comune si fa garante per la somma di 90mila scudi e concede al Zanelli le fosse sotto le mura da Porta Imolese alla vasca del Borgotto. In seguito gli cederà gratuitamente tutto il materiale ricavato dall’abbattimento della Rocca di Granarolo (1779) e gli consentirà di aprire le mura in corrispondenza della darsena. Nel 1778 si iniziano a costruire le fornaci che dovranno produrre i mattoni necessari alla realizzazione del canale e dei tanti manufatti previsti; il 4 dicembre dello stesso anno si dà avvio allo scavo, eseguito per mezzo di aratri e “pagandosi alle opere uno scudo per pertica”. In appena tre anni, potendo contare solo sulla forza delle braccia e delle bestie impiegate, i lavori vengono ultimati e l’acqua può scorrere da Faenza al Po di Primaro.



Disegno di Romolo Liverani del Canale Naviglio, sullo sfondo Porta Pia, a sinistra il mulino di San Rocco e la Torre dell'Orologio.

Veduta di Porta Pia, in un acquarello di Romolo Liverani: sulla destra i magazzini della darsena del Canal Naviglio che qui iniziava il suo percorso. Il campanile sullo sfondo eè quello della chiesa di S. Chiarae.



 Veduta di Porta Pia, del Canal Naviglio e della Darsena. Oggi corrispondente alla zona di piazzale Sercognani.



Il Canal Naviglio a Bagnacavallo alla fine '800.



Ritratto del Conte Scipione Zanelli.
L’inaugurazione ufficiale è del 20 gennaio 1783, con il conte Zanelli che risale a bordo di una barca il tratto da Bagnacavallo a Faenza e una moltitudine di gente a far da corona al memorabile evento. Pochi mesi dopo è lo stesso Papa Pio VI a benedire l’opera pressoché terminata. Di ritorno da Vienna, il 29 maggio sosta in città per un breve riposo nell’abitazione del cugino e può quindi recarsi sulle mura da dove, sotto un arco trionfale eretto in suo onore, osserva con interesse il canale e le costruzioni della darsena. In quel luogo, a ricordo della visita e su espresso consenso del Papa, verrà aperta Porta Pia.
Nelle settimane seguenti il canale è già in servizio, anche se ci vorranno altri sei-sette anni per portare a termine la costruzione di mulini, maceri, ponti (15), magazzini e abitazioni per i barcaioli. Misura 7.424 pertiche e otto piedi faentini (circa 36 km) , lungo gli argini sono stati messi a dimora più di 70mila pioppi. La spesa totale verrà stimata nel 1815 dall’ing. Giuseppe Morri in quasi 118mila scudi.
Le barche sono trainate da buoi e, per consentire sia il loro transito che il lavoro dei mulini, in prossimità di questi ultimi sono state costruite delle chiuse il cui funzionamento riproduce in piccolo il sistema adottato per il Canale di Panama. Le merci trasportate sono soprattutto granaglie, vino, legumi, legname e prodotti delle nostre colline.
Il conte Zanelli vive il suo momento di gloria. Nel testamento dispone che ogni anno le entrate del canale Naviglio e delle attività che sullo stesso sono sorte, detratte le spese, siano ripartite in misura uguale e che una delle due parti venga “erogata in sovvenimento ed a soccorso dei poveri di Faenza”. E’ un ulteriore atto da grande benefattore, ma i problemi non tardano a manifestarsi. Il canale non è stato costruito nel pieno rispetto delle clausole contenute nel chirografo pontificio e - affermano i più critici - da opera di pubblica utilità ha finito per trasformarsi in un monopolio dei Zanelli.
Il transito avrebbe dovuto essere consentito a tutte le barche, salvo il pagamento di dazi o pedaggi, ma in realtà i ponti in muratura lo rendono di fatto impossibile. Le sole a poter percorrere il canale sono le chiatte fatte costruire dal conte Zanelli, prive di strutture soprelevate e cedute in nolo. Sono queste limitazioni e le conseguenti controversie - che finiscono per chiamare in causa anche il Comune - a far perdere ben presto di importanza al Naviglio e a non consentirgli di costituire quel fattore di sviluppo e di prosperità nel quale tanti avevano sperato. La vertenza fra l’Amministrazione pubblica faentina e la Congregazione del canale si protrarrà per decenni.
I colpi decisivi vengono inferti alla grande arteria all’indomani dell’Unità d’Italia, dapprima con l’avvento della ferrovia e poi con la costruzione della pila del riso, avvenuta nel 1868, proprio sul corso d’acqua.

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