4 gennaio 1689: il fiume Lamone minaccia Faenza
di Stefano Saviotti - Miro Gamberini
dal Cd: "I Ponti di Faenza" di Stefano Saviotti - Miro Gamberini
“Nel corso dei secoli XVII e XVIII il fiume minacciò le mura numerose
volte, causando crolli e modificando l’assetto urbanistico delle zone
limitrofe: all’Archivio di Stato esistono difatti alcune mappe
riportanti situazioni completamente diverse tra loro, anche a distanza
di 40-50 anni, e che a fatica possono sovrapporsi al percorso fluviale
odierno. A questa naturale tendenza del Lamone ci si oppose per secoli
con i mezzi che la tecnologia di allora poteva offrire, cioè i
“pennelli” e le “roste”, opere difensive in pali di legno e fascine,
poste rispettivamente in senso obliquo rispetto alla corrente per
deviarla, o a protezione di una sponda soggetta ad erosione. Campo di
battaglia per questa lotta contro la natura fu, per secoli, tutta la
zona compresa fra il convento dell’Osservanza e il Borgotto, con un
punto nevralgico in corrispondenza del Ponte delle Torri, la cui
sicurezza era vitale per le comunicazioni lungo la via Emilia”.
(Stefano Saviotti, Le Mura di Faenza, pag. 37)
Danni alle mura vengono registrati nel 1621, quando una piena
fece crollare un torresino presso S. Ippolito; dieci anni dopo il fiume
deviò il suo corso, avvicinandosi al Borgo e causando il crollo di un
lungo tratto di mura fra il Ponte e la torretta-colombaia (un torresino
rettangolare che a sua volta crollò nel 1640, e di cui rimane il
ricordo nel nome di via Torretta). Verso il 1650 crollò invece un
tratto di mura di fronte a via Baroncini. L’amministrazione comunale,
particolarmente preoccupata dei danni che questa situazione provocava,
decise di consultare i maggiori esperti locali di ingegneria fluviale,
per cercare di risolvere definitivamente il problema. Furono così
chiamati Bernardino Brignani di Bagnacavallo (a Lugo vi è una strada a
lui dedicata), il faentino Pietro Maria Cavina ed un certo Fra’ Mauro.
In una pianta depositata presso l’Archivio di Stato di Faenza (Foto 1)
(1), datata 18 maggio 1685, è disegnato il percorso del fiume Lamone
dalla convergenza del Marzeno al Ponte medioevale delle Torri. In
questo tragitto il fiume disegnava una grande ansa, lambendo le mura
manfrediane ed in particolar modo il Torrione di Montecarlo. Allegata
alla pianta vi è una relazione scritta dal Brignani, nella quale si
elencano i danni provocati dal Fiume nel 1685, quando un’alluvione
ruppe gli argini nel Borgo (lettere C e D nella mappa) causando il
crollo di due case e allagando la zona contrassegnata dal simbolo +. Il
perito consigliò di scavare due canali paralleli dalla confluenza del
Marzeno con il Lamone fino al Ponte delle Torri (tratti E F – G H) di
livello più basso dell’alveo attuale, lasciando però un terrapieno
intermedio a scarpate tagliate in verticale, e di suddividerlo in parti
eguali (isole di colore giallo). La corrente del Lamone avrebbe, con il
tempo e grazie al dislivello artificiale, asportato l’argine centrale e
creato un unico largo alveo. La tecnica proposta ricalca quella
impiegata, in quegli stessi anni, da Giovanni Battista Barattieri per
il taglio del fiume Adda a Pizzighettone. Non se ne fece niente, ma il
4 gennaio 1689 il Lamone ruppe gli argini nei pressi del torrione di
Montecarlo facendo crollare “60 piedi” (1 piede = 0,48 metri, quindi
28,80 metri) di mura: si temette addirittura che il fiume potesse
invadere la città. Pietro Maria Cavina spedì “una staffetta” a Ravenna
per affrettare un intervento della Delegazione Pontificia. Brignani,
che aveva progettato il taglio nel 1685, non era presente in quanto
impegnato nel ferrarese nell’arginatura del corso del fiume Reno.
Subentrò così Abramo Paris, il quale in una relazione del 5 gennaio
indirizzata ai Deputati faentini così descrisse la situazione:
“…ho giudicato opportuno farne un taglio ovvero nuovo alveo per
divertire il sudetto fiume, e tenerlo lontano dalle muraglie della
Città, tanto maggiormente che il taglio nuovo passa per terreni
derelitti e sottoposti all’inondazioni. Siche ordinai che si dovesse
principiare il sopra nominato taglio a dirittura come si congiungono li
due fiumi, e che prende la linea alla volta dell’Arco di mezzo del
Ponte a’ linea retta in oltre il detto Alveo nuovo deve essere tenuto a
sufficienza, et alquanto più fondo del letto dell’Alveo vecchio, acciò
che più facilmente il fiume possi incanalarsi”.
Una pianta (foto 2) (2) illustra la situazione creatasi nel 1689, con
la breccia provocata alle mura e i danni che la spinta dell’acqua aveva
provocato al Borgo. Era necessario intervenire con urgenza, quindi fu
scelto di scavare un canale come suggeriva l’agrimensore Paris, e
mettere in sicurezza il Borgo con una diga di pali e fascine
intrecciate tra loro per arginare l’erosione del terreno. L’intervento
fu efficace e risolutivo: da allora il Lamone smise di rappresentare
una minaccia incombente sulla città, e ora scorre tranquillo (quando
c’è acqua) nel suo alveo artificiale.
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La mappa qui riprodotta mostra la situazione del fiume lamone nel 1678.
foto 1
foto 2
Note
1) (Acque e Vie, vol. III, pag. 334)
2) (Acque e Vie, vol. V, pag. 254)
Le
immagini riprodotte in questa pagina sono state tratte dal Cd: "I Ponti
di Faenza" di Stefano Saviotti - Miro Gamberini. I documenti sono
conservati presso l'Archivio di Stato di Ravenna - Sezione di Faenza e
riprodotti su concessione del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali - Archivio di Stato di Ravenna, autorizzazione n. 14/2012.
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