La storia della chiesa di S. Sigismondo

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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La storia della chiesa di S. Sigismondo
di Vittorio Maggi


Dalle origini alla Visita Apostolica

Ancora oggi con i documenti in nostro possesso non è possibile conoscere la data esatta di origine di questa chiesa anche se S. Sigismondo assieme all'Ospedale del Cerro vengono già ricordati alla fine del XII secolo; infatti la tradizione, sulle testimonianze del Tolosano, vuole che nella chiesa di S. Sigismondo fossero portati gli stendardi donati dal Conte di Vitry ai faentini dopo la storica vittoria ottenuta ai danni dei ravennati con l'aiuto appunto del nobile francese (1° maggio 1080). (1) La chiesa che fin dalla sua nascita non fu altro che un piccolo tempio allora era di proprieta dei Cavalieri Templari e dipendente dell'Ospizio del Santo Sepolcro in Borgo. (2)


Testamento di Ugo che lascia parecchi legati a diverse chiese faentine tra le quali S. Sigismondo, chiamando eredi i poveri. Annop 1255.

Le prime notizie documentabili risalgono al XIII secolo. La prima è del 20.4.1255 quando un certo Ugo nel suo testamento lascia diversi legati a ospedali e chiese di Faenza e fra queste anche a S. Sigismondo.(3) La seconda notizia e del 3.6.1279 in cui Giovanni Pallotello parrocchiano di S. Sigismondo, vende a Guido della Viola di Lozzano un pezzo di terra.(4) Nell'agosto del 1312 chiesa e terreno annesso a S. Sigismondo vengono ceduti dall'Ordine dei Templari, che nel frattempo erano stati soppressi, ai Gerosolimitani che la unirono alla Commenda in Borgo di loro proprieta.(5) In quel periodo e per parecchi secoli ancora la chiesa venne gestita da questi cavalieri, senza avvenimenti di rilievo eccettuata l'annuale festa degli stendardi che continue ad effettuarsi il primo giorno di maggio. All'epoca la zona circostante S. Sigismondo era già coltivata ad orti, irrigati dalla canaletta che dalla fine del XIII secolo scorreva lungo la strada di Brisighella:"Baptista Syndicus vendit Ugolino de Viglarana terras in capella S. Ghismundi Juxta canale a duobus later, et circlam com. (3.4,1378)".(6)



Anno 1279. Giovanni Pallottello della parrocchia di S. Sigismondo
 vende a Guido Della Viola di Lozzano una pezza di terra in Roncoduce.

Fino a metà del Cinquecento non si hanno grandi notizie, ma si fa solo l'ipotesi che la chiesa venga rinnovata e si ha una serie cospicua di documenti della vita attiva che regnava attorno agli orti di S. Sigismondo infatti i rettori che si succedettero nella cura della chiesa per secoli continuarono ad affittare.(7) In seguito anche la canonica e più tardi pure la chiesa subirono lo stesso destino a testimonianza che il complesso era stato un po' abbandonato. II 13.5.1573 ricevette la Visita Apostolica di mons. Ascanio Marchesini. Il beneficio di S. Sigismondo era unito alla Commenda, detta volgarmente Magione e aveva 6 tornature di terra affittata per 45 lire; tuttavia la chiesa fu trovata come una stalla, senza altare, senza immagini, senza pavimento, senza campana, con la porta chiusa e un'apertura per cui entravano cose profane, galline e usata come deposito di legna. II Visitatore "Valde increpavit" e ordinò di ripulire tutto e che venisse riaperta entro 15 giorni. Ordinò pure di costruirvi un nuovo altare e che venisse dipinto l'immagine del Santo e si celebrasse la sua festa; ammonì inoltre il commendatario frate Baldassare Beia da Finiliano residente in Borgo perché provvedesse ad eseguire tutto senza scuse.(8)

Dal Seicento alla ricostruzione ottocentesca
Le minacce del Visitatore non cambiarono affatto le condizioni della chiesa giacché nel secolo seguente durante la Visita Pastorale del Vescovo Monterenzi (1618-1626) la chiesa fu nuovamente ritrovata con l'altare spoglio, senza la pietra sacra, la croce, ne' l'intonaco ai muri.(9) Un ventennio più tardi fu il Vescovo Cennini (1623-1643) a fare le visite e questa volta erano i muri e il tetto che minacciavano di crollare; le finestre mancavano delle necessarie ferramenta.(10) Con la prima occupazione francese del 1796 a Faenza, come in tanti altri luoghi, tutti i simboli del potere pontificio o ciò che potesse ricordare le vecchie istituzioni, venne rimosso o distrutto, e cosi, purtroppo, avvenne anche per i due stendardi di Vitry, che in sé non significavano nulla, ma che nella memoria collettiva erano legati ad una plurisecolare rievocazione mantenuta in vita dal regime papale e quindi da cancellare. Nel 1798 la chiesa di S. Sigismondo seguì la sorte di tante altre chiese faentine; venne prima soppressa e venduta a privati e successivamente trasformata in officina di un fabbro. Dal governo italico, la chiesa ormai in rovina e l'orto annesso, furono comprati da Giuseppe Marchesi. Questi nel 1835, sollecitato ed aiutato finanziariamente da don Amedeo Piancastelli e dalle offerte di un gruppo di devoti, pensò di restaurare completamente la chiesa.(11) L'anno successive su progetto dell'arch. Pietro Tomba e l'esecuzione del capo-mastro Gian Battista Bianchedi di Faenza la fatiscente chiesa venne rinnovata e ad essa venne unita pure una sacrestia e due camere per il cappellano. La chiesa venne abbellita dalle decorazioni di Michele Chiarini nell'arcone presbiteriale, mentre nel catino absidale, nella volta e nelle cappelle laterali operò Romolo Liverani.

Altre decorazioni plastiche furono eseguite da don Domenico Valenti e scagliole a finto marmo da Sebastiano Petroncini; Carlo Spadini esegui ritratti (in scagliola) della famiglia proprietaria della chiesa.(12) Giuseppe Marchesi la dotò inoltre di un censo attivo di 200 scudi e don Piancastelli la fornì di tutti gli arredi. Con le offerte dei fedeli si costruì anche un piccolo campanile. II 22.09.1836 il Marchesi concesse la gestione gratuita, con strumento del notaio F. Morini a favore di don Piancastelli come rettore della nuova cappellania e il 24.9.1836 la chiesa, appena terminata, veniva consacrata dal vescovo Folicaldi con una processione seguita da grande folla che, partita dalla chiesa dei Cappuccini attraverso il pubblico passeggio giunse alla chiesa di S. Sigismondo che in quella occasione venne dedicata alla Beata Vergine della Misericordia.(13) II19.3.1837 Marchesi e Piancastelli stipularono una convenzione tramite la quale cedevano la responsabilità e la cura della chiesa alla Confraternita della Madonna della Misericordia costituita dal Piancastelli l'anno prima.
Nel verbale il Marchesi confermò di cedere chiesa, sacrestia, abitazione, orto e resedio di terreno alla Confraternita con l’unica clausola che se la Confraternita si fosse sciolta tutto doveva passare alla parrocchia di S. Lorenzo. Nella seduta del 20.09.1838 il Consiglio Comunale accettava la domanda dei proprietari di S. Sigismondo e concedeva Baj 4 in perpetuo per celebrare la festa di S. Sigismondo il 1 ° di maggio (giorno della vittoria di Vitry nel 1080) e Baj 15 "per facilitare la formazione del quadra rappresentante l'immagine del detto Santo".
In seguito a questo l’anno successivo Lodovico Bellenghi eseguì il quadro del Santo mentre un'immagine della Madonna che allora era invocata sotto il titolo di Madonna della Misericordia venne collocata in chiesa. Nel 1840 il Magistrato concesse inoltre Baj 5 per ridipingere una cappella laterale.(14)


Particolare della pianta della zona di Porta Montanara in un disegno
 di Giuseppe Antonio Alberghi, pubblico perito agrimensore, del 6 febbraio 1756.

La facciata di S. Sigismondo.

Dalle ultime vicende di fine '800 ad oggi

II 20.9.1856 Giuseppe Marchesi morì e nel suo testamento rimase con stupore l'usufrutto della sorella Maria sulla chiesa finoo alla morte che avvenne il 17.6.1860.(15) A risolvere il pasticcio sulla proprietà della chiesa e annessi pensò successivamente il sopravvenuto Governo Italiano che soppresse di nuovo la chiesa chiudendola (1869) dopo averne incamerato i beni.
II 3.10.1870 venne riaperta ed ivi presero ad abitare alcuni cappuccini i quali iniziarono ad ufficiarla.(16)
Nel 1871 l'eredita Marchesi passò a Pietro Liverani che per 5 anni (1873-1878) vi ospitò alcuni pp. Osservanti Riformati espulsi dal vicino convento delll'Osservanza su disposizione del Governo Italiano.(17) Alla morte di Pietro Liverani nel 1879 successero nella proprietà di "S. Sigismondo'' la vedova Maria Masolini e il figlio Francesco i quali nel 1881 restaurarono la chiesa e la riarredarono.(18)
Nel 1889 la proprietà passò a Francesco Zauli da Baccagnano sposato con Giovanna Liverani che la tenne fino al primo quarto del 20° secolo. Nel 1896 tutto il complesso di S. Sigismondo era abitato da 10 nuclei familiari per un totale di trenta persone residenti.(19)
Nel 1922 Giovanna Zauli da Baccagnano morì e la proprietà si trasferì al marito Francesco Borelli.(20)
Nel 1928 la chiesa ricevette la Visita Pastorale del Vescovo Ruggero Bovelli; aveva tre altari, sul maggiore c'era l’immagine della Madonna delle Grazie, una bella sacrestia e in condizioni ottimali tutta la chiesa. Durante il passaggio del fronte nel 1944 la chiesa venne colpita da alcune granate. Uno dei cinque "quadretti" affrescati sull'arcone presbiteriale venne distrutto mentre gli altri quattro venivano restaurati più tardi (anni '70) da Angelo Roversi. Nel 1964 vennero compiuti ulteriori e parziali riparazioni per danni di guerra a cura della fam. Borelli.
Oggi e proprietario il sig. Borelli Giovanni.

L'architettura
La chiesa ricostruita nel 1836 sui resti di una cappella preesistente che risaliva all'XI secolo, venne progettata da Pietro Tomba (1774-1846) con la collaborazione del capomastro G. B. Bianchedi. Secondo un'ordinamento abituale delle costruzioni di tipo religiose del Tomba la facciata si presenta con la parte centrale alta e con due ali laterali più basse allo scopo di fingere altrettante navate.
II Tomba infatti "partita dall'adozione di modelli Palladiani nelle facciate delle chiese di S. Pietro a Fognano e Biancanigo pervenne successivamente nelle chiese di S. Vitale, S. Giovannino di Reda e S. Sigismondo alla completa abolizione dell'ordine classico nei prospetti. I termini di riferimento più puntuali di questi ultimi tipi di facciate vanno identificati in realizzazioni di Valadier alle quali si potrebbero aggiungere opere del Selva."(21)
In realtà l'interno è a una sola navata con due cappelle laterali unite da recessi contro la facciata. La linea del tetto è a spioventi: in basso al centro si apre la porta architravata, sormontata da ampia finestra a lunetta che costituisce la luce principale rafforzata in modo indiretto da due finestre più piccole poste nei recessi. L'edificio è a sinistra appoggiato ad altre costruzioni, libero a destra. Per campanile c'è una "vela'' a due finestrature. La navata centrale è coperta da volta a botte, lateralmente due cappelle simmetriche ai lati delle quali sono collocate due colonne corinzie su alti plinti e rastremate con capitelli di stucco che reggono la porzione soprastante della trabeazione. Un cornicione avvolge tutto l'interno, con fregio liscio a finto marmo. Nel presbiterio risaltano due grossi pilastri ciascuno con nicchia. La pianta della cappella primaria è rettangolare ma diventa absidata a semicerchio per mezzo di quattro pilastri corinzi, a fusto in finto marmo di scagliola, che sostengono il catino semiemisferico. Le cappelle laterali sono coperte con volta a botte ad andamento parallelo a quello della navata. "La ricerca del Tomba non interessò soltanto I'architettura di facciata ma anche la tipologia degli edifici religiosi, che presentarono sovente un impianto planimetrico riconducibile a quello a croce greca. È tuttavia indispensabile sottolineare che la scelta tipologica del Tomba può considerarsi il prodotto del connubio tra la chiesa a pianta centrale del Quattrocento e del suo archetipo bizantino". (22)

Gli arredi



Ludovico Bellenghi (1815-1891), olio su tela, cappella di sinistra. San Sigismondo in Gloria, pala d'altare del 1840 ca. attribuita concordamente a Lodovico Bellenghi. Nel 1982 a spese della famiglia Borelli proprietaria fu eseguito un restauro dal prof. Mario Pesarini.
Altare e ancona realizzati su disegno di Pietro Tomba ed esecuzione di Sebastiano Petroncini nel 1836. Altare isolato nella cappella collegato ai muri da due elementi a girali che sormontano altrettanti ingressi laterali. Ancona di scagliola in finto marmo e stucco di calce posta fra i pilastri del catino absidale. Al centro dell'ancona dentro a un grande ostensorio dorato sta sotto vetro entro nicchia una maiolica devozionale con l'immagine della Madonna delle Grazie ma con il titolo di Madonna della Misericordia;(23) bottega probabilmente faentina del secolo XVII-XVIII. Candelieri lignei del Tomba.
Ancona con intarsi di legno, dipinto, con parti dorate in madreperla del secolo XIX (prima metà) su probabile disegno di P. Tomba. 
Al centro, sotto vetro, dipinto a olio della Madonna col Bambino; ai lati due statuine dorate del secolo XVIII di autore anomino, forse dei Ballanti-Graziani, G. Battista (1762-1835) o Francesco (1772-1847) che operarono tra lo stile barocco e quello neoclassico. Tutt'attorno sotto vetro, reliquario parietale multiplo. L'ancona è contornata da una leggera cornice in scagliola e da finte colonne, tempera su parete.
NOTE
(1) A. MONTANARI, Guida Storica di Faenza, Faenza 1882, pp. 266-268. E. Golfieri, Faventia-Faenza, Faenza 1977, pp. 90, 91.
II Conte di Vitry con 500 uomini armati affronto i ravennati a Campo di Contra tra Albereto e Prada. Al Vitry fu offerto il comando della città che egli declinò.
(2) A. ARCHI, Faenza com’era, Faenza 1973, pp. 69, 70. E. GOLFIERI, Faventia - Faenza, Faenza 1977, pp. 76,90,91.
(3) ARCHIVIO DI STATO DI FAENZA, Fondo pergamene, A, 1,4-24.
(4) ARCHIVIO DI STATO DI FAENZA, Fondo pergamene, B, 1,4-7.
(5) G.C. TONDUZZI, Historia di Faenza, Faenza 1675, p. 48. L'ordine guerriero dei Templari divenuto troppo ricco e potente, cominciava a creare grossi problemi al Re di Francia Filippo IV il Bello il quale convinse il Papa Clemente V a sopprimerlo e cosi il 04.08.1312 anche i beni faentini dell'Ordine passarono ad altre mani; il templare Fra Ottone cedette S. Sigismondo a Fra Guido precettore dei Cavalieri del S. Sepolcro o Gerosolimitani, responsabili della chiesa della Commenda in Borgo. A. MESSERI - A. CALZI, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909, p. 96.
(6) G. ROSSINI, Schedario, Biblioteca Comunale Faenza.
(7) G. ROSSINI, Schedario, anni 1485, 1499, 1500, 1518, 1521, Biblioteca Comunale Faenza.
(8) Visita Apostolica di mons. A. Marchesini del 1573, Ms. Archivio Vescovile Faenza. G. ROSSINI, Schedario, Visita Apostolica, Biblioteca Comunale Faenza.
(9) Visita Pastorale del 17.03....... del Vescovo Giulio Monterenzi (1618-1623), Archivio Vescovile Faenza.
(10) Visita Pastorale del Vescovo Francesco Cennini (1623-1643), Archivio Vescovile Faenza.
(11) Donazione Marchesi-Piancastelli, Z.O.II. n. 47, Archivio Vescovile Faenza.
(12) A. Montanari, op. cit., p. 268. II Montanari attribuisce le decorazione della volta a Romolo Liverani mentre il Golfieri ritiene più possibile l'intervento del fratello Antonio. Scarta a priori il coinvolgimento di Carlo Spadini supposto da qualcuno mentre ritiene di attribuire la compartecipazione di Michele Chiarini per I'affinità delle decorazioni con quelle eseguite qualche anno prima del 1836 nella chiesa del Collegio di Fognano. II Corbara mette anche in dubbio l'attribuzione dei busti iconografici, fatta dal Montanari, a Carlo Spadini meglio conosciuto come pittore. Inoltre le decorazioni plastiche del Valenti pare facciano riferimento secondo A. Montanari ai capitelli e all'ancona dell'altare maggiore. A. MESSERI, A. CALZI, op. cit., p. 452. A. ARCHI, op. cit., p. 134, G. ROSSINI, op. cit. Schede per Soprintendenza Beni Artistici di A. Corbara 1982. A. MONTANARI, Uomini illustri di Faenza, Faenza 1882, vol. I, p. 112. M. ANTONELLI, Guida di Faenza, Faenza 1924, p. 62.
(13) A. MONTANARI, op. cit., p. 267. L'immagine della Madonna della Misericordia si venerava fino allora in una celletta posta nello stradello dei Cappuccini e prima ancora stava appesa ad un’albero. M. VALGIMIGLI, op. cit., Pmm. 44, p. 63.
(14) A. MONTANARI, op. cit., p. 268. M. VALGIMIGLI, Memorie Storiche della Città di Faenza, ms. app. C-D, p. 44, Biblioteca Comunale Faenza. Della concessione comunale fatta a S. Sigismondo trovasi notizie in Archivio di Stato sotto gli anni 1838-1840, Arch. Moderno, Tit. XIV, Rub. 1, Religione.
(15) Archivio Vescovile, Donazione Marchesi - Piancastelli, Z.O.II n. 47.
(16) M. VALGIMIGLI, op. cit., App. AV, p. 40.
(17) Censimento anime, Archivio Parrocchiale
 S. Margherita.
(18) La vedova fece fare da Luigi Benini un bassorilievo in marmo, con l’immagine del marito, che pose sul lato sinistro dell'altare maggiore.
(19) Censimento anime (1889-1915), Archivio Parrocchiale, S. Margherita.
(20) Anna Zauli da Baccagnano era figlia di Francesco e di Giovanna Liverani.
(21) F. BERTONI, L'architettura a Faenza dalla Repubblica Cispadana alla Restaurazione. G. A. ANTOLINI e P. TOMBA in Giuseppe Pistocchi (1744-1814) architetto giacobino, Firenze 1974, p. 73.
(22) F. BERTONI, L'architettura a Faenza dalla Repubblica Cispadana alia Restaurazione. G. A. ANTOLINI e P. TOMBA in Giuseppe Pistocchi (1744-1814) architetto giacobino, Firenze 1974, p. 74

(23) A. SAVIOLI, L'immagine della B. V. delle Grazie di Faenza, Faenza 1970, vol. II, p. 83, fig. 50. Una stampa realizzata dall'incisore Vincenzo Marabini databile al 1836, presence in chiesa almeno fino al 1981, rappresenta il caso singolare di una Madonna delle Grazie con il titolo di Mater Misericordiae. Per questo anche la maiolica devozionale presente nell'altare maggiore godrebbe dello stesso titolo. A. SAVIOLI, L'immagine della Beata Vergine delle Grazie, Faenza 1962, p. 13, fig. 8-9.


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