L'oratorio di San Giorgio |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
Home | Monumenti |
Una scenografica villa suburbana
L’ORATORIO DI S. GIORGIO di Stefano Saviotti Il complesso di S. Giorgio è situato qualche centinaio di metri fuori Porta delle Chiavi, lungo la via Emilia, in corrispondenza della rotonda allo sbocco della Circonvallazione. La sua attuale collocazione fa sì che esso sia pressoché invisibile a chi vi transita davanti, dovendosi sempre prestare la massima attenzione al traffico. All’epoca della sua costruzione invece, la posizione lungo la strada consolare ed appena fuori città era considerata di gran privilegio. Le costruzioni oggi visibili risalgono tutte al Settecento o ad epoca posteriore, ma il sito e la dedicazione a S. Giorgio hanno origini ben più remote. Una prima chiesetta è già ricordata in atti del 1152 e 1193 (si veda lo Schedario Rossini), e nel 1269 era parrocchia; difatti, l’8 agosto di quell’anno essa fu concessa con tutti i suoi beni ai Canonici di Faenza dal Vescovo Giacomo III Petrella. Nel 1334 il vescovo Ugolino, considerando che la parrocchia di S. Giorgio aveva una rendita insufficiente al suo mantenimento, ne dispose l’unione con la chiesa di S. Maria della Palma, che era nelle vicinanze (non se ne conosce però la posizione esatta) ed apparteneva ai Camaldolesi dal 1328, assieme all’annesso ospedale per i pellegrini. Nel 1486 i Camaldolesi di S. Ippolito rinunziarono alla cura d’anime della parrocchia di S. Maria della Palma, che fu così unita a S. Maria Maddalena della Commenda. L’ospedale, a questo punto, fu trasferito a S. Giorgio, tanto che così risulta in un atto del 1493. Nel 1573, la chiesa di S. Giorgio (senza più ospedale) era Beneficio del Parroco di Formellino, come riporta la Visita Marchesini, ed in seguito passò sotto il dominio del Seminario di Faenza.
Fanelli, oriundo di Brisighella, decise di costruire su questo luogo la sua nuova residenza faentina, demolendo la vecchia chiesetta. La sua massima aspirazione era entrare a far parte del ceto nobile della città e, proprio per mostrare a tutti d'esserne degno, subito dopo l’acquisto egli fece costruire questa scenografica villa con oratorio, consacrato due anni dopo (17 agosto 1740) dal Vescovo Nicolò Maria Lomellini. Il complesso si articola intorno ad un’ampia corte, chiusa verso la via Emilia da un muro con tre accessi pilastrati, ed è costituito dall’edificio padronale, da quello rustico e dall’oratorio. I primi due fabbricati, posti perpendicolarmente alla via Emilia, sono di dimensioni e volume identici e si fronteggiano tra loro, mentre l’oratorio si presenta frontalmente a chi entra dal cancello principale e costituisce l’elemento centrale del complesso. L’edificio padronale e quello rustico costituiscono così due ali subordinate gerarchicamente all’oratorio, a differenza di molte altre ville dei dintorni nelle quali la chiesetta costituisce un elemento accessorio, mentre la residenza assume posizione dominante. Non si conosce il progettista del complesso; lo studioso Lorenzo Savelli ne ipotizza la costruzione ad opera di famosi capimastri come Giovan Battista Boschi o Raffaele Campidori, mentre i finissimi stucchi dell’oratorio potevano essere del ticinese Giovan Battista Verda, allora operante a Faenza.
Giunti al piano superiore, si entrava in una grande sala (circa sette metri di lato), coperta con volta a padiglione in cannicciato. Essa fungeva da soggiorno e disimpegno di distribuzione per accedere a due appartamenti residenziali, a carattere signorile. Quello di sinistra, in altre parole verso la via Emilia, era composto da una sala con tre finestre, coperta con cinque travi collegate da voltini in cannicciato, e da una stanza da letto pure con tre luci, coperta con soffitto piano decorato con stucchi dal disegno molto semplice. L’altro appartamento si affacciava solo sulla corte, ed era composto anch’esso di due stanze. Da questo appartamento si poteva accedere alla loggetta curva, che come si vede dal disegno del Liverani era architravata e dotata di balaustra in pietra o legno. Il cornicione della loggetta era in prosecuzione di quello mediano dell’oratorio, ed i pilastri erano ornati di capitelli diversi da quelli del portico sottostante. La loggetta, infine, era aperta anche verso la campagna ed il coperto probabilmente aveva una sola falda, vista la sua limitata larghezza (circa 2,40 m. compresi i muri).
L’edificio padronale conserva uno scaloncino con pareti decorate a stucchi e stemmi e una galleria (ampio corridoio) con portali pure riccamente incorniciati con stucchi. Altre salette presentano portali simili e una di esse conserva un elegante camino. Alla morte di Giovanni Fanelli (circa 1761), la proprietà passò al figlio Domenico Maria, Canonico penitenziere in Duomo dal 1745, che per memore gratitudine nei confronti del padre fece collocare nell’oratorio la seguente epigrafe:
Alla morte di Domenico, il 14 febbraio 1793, il complesso fu lasciato in eredità ai Padri Trinitari Scalzi della Redenzione, la cui missione principale era raccogliere somme per riscattare i cristiani catturati e resi schiavi dai Turchi. Il lascito testamentario prevedeva una terza parte delle rendite per liberare gli schiavi e due terzi per i Padri. Essi inoltre dovevano celebrare, nell’oratorio di S. Giorgio, una Messa pubblica in ogni giorno festivo di precetto. Essi presero possesso della villa nel 1794, ma la loro permanenza fu breve. Infatti nel 1797, a seguito delle soppressioni dei conventi decretate da Napoleone, i Trinitari dovettero lasciare Faenza ed il complesso fu incamerato dal Demanio. Immediatamente, la Nazione affittò il palazzo di S. Giorgio per 50 scudi annui, come riporta la Tabella delle case compilata da Pistocchi e Morri. Mediante rogito Capolini del 2 Pratile anno VII (21 maggio 1799) parte del podere ed il palazzo furono messi all’asta ed acquistati da Antonio Emiliani, che sborsò scudi 2950:70:10, pari a Lire Milanesi 20654:4 (Not. Capolini, vol. 4930, c. 125). La perizia di stima fu compilata da Giuseppe Pistocchi e Giuseppe Morri: la casa rustica comprendeva allora tre camere inferiori, casone, stalla, forno e porcile. La parte padronale (che contava evidentemente anche le stanze a volta poste al primo piano del corpo rustico) era invece composta da otto camere inferiori, dodici superiori, cantina, stalletta, logge e chiesina. La parte di podere ceduta ad Emiliani misurava tornature 37,698, più l’area del Palazzo con prato di tornature 0,845. Secondo Pistocchi e Morri, il palazzo da solo valeva scudi 1420, e il podere scudi 1530:60:10. Pochi anni dopo, il fondo fu ereditato da Giuseppe Maria Emiliani, e nel Catasto del 1826 troviamo che il palazzo era segnato come “casa da villeggiatura e colonica”, con area di pertinenza di mq. 3800. Alla propria morte, Emiliani lasciò eredi le Suore del Collegio-convitto di Fognano, eretto per suo stesso interessamento. Nel 1866, a seguito degli espropri dei beni ecclesiastici decretati dallo Stato italiano, il complesso fu nuovamente messo all’asta e venduto alla famiglia Rava, che ne è rimasta proprietaria per oltre 130 anni. Nel 1923, i fratelli Domenico, Francesco, Luigi e Paolo Rava procedettero alla divisione del complesso in porzioni da assegnare a ciascuno. Francesco ebbe la casa padronale, mentre gli altri fratelli si divisero la casa colonica. Durante gli anni Venti e Trenta del Novecento, furono così svolti numerosi lavori di adattamento che trasformarono notevolmente l’aspetto di quest’ultimo fabbricato. Assai pesante fu la demolizione dei loggiati curvi ai lati dell’oratorio, dei quali rimase solo il muro prospiciente la campagna, mentre verso la corte furono edificate due casette a due piani ciascuna, con facciata a filo della testata della villa e del corpo rustico. Tale intervento mantenne la simmetria del complesso edificato, anche se con grave menomazione dell’effetto scenografico. Secondo intervento fu la trasformazione della vecchia stalla bovina, situata sotto il portico (le cui arcate furono murate), in stanze abitabili. Gli antichi bassicomodi, che erano situati dietro il portico curvo e il lato nord-est del fabbricato colonico, furono totalmente demoliti e rifatti dalle fondamenta, costruendo una più razionale stalla con sovrastante fienile, affiancata da un tozzo portico a due campate. Al primo piano le alterazioni furono altrettanto pesanti, e comportarono la suddivisione in più stanze di buona parte dei vasti locali originari al fine di creare appartamenti più piccoli. La profonda loggetta che si affacciava sui campi fu tamponata mediante un sottile muro, e trasformata in cucina per un appartamento ricavato da una delle sale della servitù. Persino le soffitte tra lo scaloncino e il nuovo fienile furono adattate ad abitazione. Ultima opera di rilievo che interessò il coperto fu l’eliminazione del cornicione originario in mattoni, testimoniato nel disegno del Liverani e di cui restano pochi avanzi, a coronamento dell'ex sacrestia dell’oratorio. Tutte queste trasformazioni portarono gravi mutilazioni alla struttura, compensate (diciamo così) dall’aggiunta di nuovi volumi a scopo agricolo ed abitativo. Dei danni causati dai bombardamenti all’oratorio si è già detto; nel dopoguerra non vi furono gravi manomissioni alle due case, tuttavia l’incuria fece sì che della chiesetta, mai riparata, siano rimasti solo i muri perimetrali, mentre la casa colonica è stata restaurata nel 2001; la casa padronale invece è in buono stato. Tra gli anni Sessanta ed Ottanta, la campagna circostante al complesso fu urbanizzata, ed oggi il sito è interamente compreso nella periferia cittadina. |
Home | Monumenti |