Il Palazzo della Beneficenza (Loggia degli Infantini)

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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IL PALAZZO DELLA BENEFICENZA
(LOGGIA DEGLI INFANTINI)

di Stefano Saviotti



A seguito di una Bolla di Papa Martino IV del 1418, diversi piccoli ospedali di Faenza furono concentrati nel nuovo Ospedale di S. Maria della Misericordia, il cui edificio sorse sul corso di Porta Imolese verso il 1426. Il nucleo originario consisteva in un corpo rettangolare, esteso da via Cavour a via Pascoli, con un ampio portico ad archi ribassati e l’ingresso al centro, in corrispondenza dell’odierno civico 72. Subito a destra dell’ingresso vi era lo scaloncino d’accesso al piano superiore, ricostruito in seguito nella stessa posizione. I locali interni erano costituiti principalmente da grandi saloni di degenza, mentre sopra il portico vi erano solo magazzini con un’altezza molto inferiore a quella attuale, illuminati da finestrelle quadrate. In angolo con via Monaldina (oggi Pascoli) sorgeva la chiesa; vi era inoltre un’ampia area cortilizia che raggiungeva un vicolo privato (attuale cortile di servizio con ingresso da via Pascoli). Inizialmente l’istituto ospitava sia infermi che neonati abbandonati, ma dopo il 1500 quest’ultima divenne la sua funzione esclusiva ed assunse il nuovo nome di Ospedale Casa Dio. Per oltre due secoli, tutti i bambini abbandonati nella famigerata “ruota” sotto il loggiato ed affidati all’istituto assunsero il cognome Casadio, che al giorno d’oggi a Faenza è ancora frequentissimo. L’ospedale era gestito dal Comune tramite quattro Presidenti, ma veniva periodicamente visitato anche dal Vescovo che poteva impartire ordini per la migliore gestione dell’opera pia.


La fontana alla testata della Loggia della Beneficenza
(oggi detta degli Infantini) in un antico disegno.
Da "2001 Romagna" n° 141, dicembre 2013.


     Nel Cinquecento, in fondo alla corte fu costruito un ampliamento, addossato al confine con il vicolo e composto inizialmente da tre grandi camere, con il tempo portate a cinque.Nel 1639 la chiesa fu ampliata, costruendo una navata sul lato sinistro sormontata da un corridoio per collegare il corpo principale con l’ampliamento cinquecentesco; fu inoltre allungato il coro fino a raggiungere il vicolo, e realizzate quattro cappelle un poco sporgenti su via Pascoli. Nel vano di risulta fra il coro e il corpo cinquecentesco fu realizzata la sacrestia (oggi vi si trova lo scalone di accesso agli ex uffici delle Opere Pie). L’aspetto raggiunto dalla chiesa in seguito a tale intervento è documentato da una pianta e due sezioni realizzate da G. Battista Boschi nel 1775, come rilievo preliminare ad un progetto di ricostruzione del tempio, mai realizzato (Archivio di Stato Faenza, Piante, serie I). Sotto la chiesa furono realizzate alcune grandi cantine a volta, tuttora esistenti, a servizio dell’Ospedale, con accesso da una scala adiacente all’ampliamento cinquecentesco. Prima della metà del XVIII secolo, la grande corte fu divisa in due mediante una nuova ala centrale costituita da un portico in asse con l’atrio d’ingresso, e stanze adiacenti; al piano di sopra vi erano altre stanze abitabili.

La loggia della beneficenza in un disegno di Romolo Liverani.
     Il tutto risulta da un inventario del 1752, presente in Archivio Vescovile e pubblicato in sintesi da Don Giulio Foschini nel volume “Brefotrofio e Orfanotrofio” (Tip. Faentina, Faenza, 1992). Da tale inventario apprendiamo che dopo l’atrio d’ingresso si accedeva ad un grande cortile porticato con legnaia, lavanderia ed altri servizi. Al piano superiore la camera del fuoco (l’unico locale riscaldato), i dormitori per maschi, femmine e balie e gli alloggi del personale. A pianoterra la presidenza, la dispensa, la ruota per raccogliere i bambini abbandonati, l’infermeria, la seconda dispensa, magazzini, stanze di punizione (!), un’altra legnaia, stalla, cucina, refettorio, quattro laboratori di tessitura per far lavorare le ragazze, la camera del sacerdote, del medico e del chirurgo, e due pozzi nel cortile. Ed infine le già citate cantine sotto la chiesa. In seguito fu aggiunto un portico con loggia di fronte al corpo cinquecentesco, per disimpegnare quei locali e collegare l’ala centrale con la chiesa. Tale loggia viene citata a partire dall’inventario del 1771, per cui la sua costruzione va a collocarsi fra il 1752 ed il 1771. Il passaggio sopra la navata sinistra della chiesa fu pertanto adibito a dormitorio, come risulta dal suddetto inventario. Il maggior problema dell’istituto era il suo affollamento (nel 1765 gli ospiti dell’Ospedale Casa Dio erano ben 130!), e di conseguenza era notevole il bisogno di nuovi spazi.

  La soluzione del problema venne pochi anni dopo: la soppressione dei Gesuiti da parte del Papa Pio VI nel 1773 liberò il loro convento (attuale Liceo Classico e Pinacoteca), nel quale si trasferirono i padri Cistercensi dal monastero di S. Maria Vecchia. L’Ospedale Casa Dio fu a sua volta spostato nell’ex convento cistercense (atto di permuta del Notaio Lorenzo Maria Emiliani, 26/02/1778). Il vecchio immobile sul corso di Porta Imolese fu così acquisito dal Seminario, che aveva comunque già ottenuto dal Papa la facoltà di vendere (Breve del 17/11/1777). L’ex Ospedale fu così ceduto a Girolamo Tassinari per 5500 scudi (atto del Notaio L. M. Emiliani, 16/03/1781). Il Tassinari fu per diversi anni tesoriere della Compagnia di S. Gregorio, ma trovandosi alla chiusura dei conti debitore di forti somme con essa, dovette cederle la porzione orientale del complesso (atto del 21/06/1785). Tassinari poté conservare la metà ovest del nucleo originario, l’ex chiesa e l’ala cinquecentesca lungo il cortile/vicolo sul retro. In seguito demolì totalmente la chiesa, conservando solo le cantine, e ricostruì il volume lungo via Pascoli ricavando dei locali da affittare e per la propria abitazione. Il muro che divideva la vecchia navata sinistra dalla corte fu però ricostruito due metri più ad ovest, per allargare lo spazio verde. Tassinari ricavò un accesso dal portico sul corso, con un vano scale seguito da un portico sul lato del cortile interno e da un altro vano scale sul fondo (attuale scalone delle ex Opere Pie).



       Il Palazzo della Beneficenza in una vecchia cartolina degli inizi del 1900.

          La Loggia del Palazzo della Beneficento nel 1950 circa.

   Sull’utilizzo dell’altra porzione di fabbricato da parte della Compagnia di S. Gregorio occorre fare alcune deduzioni: qualche adattamento ad uso abitativo fu certamente realizzato, visto che nella Tabella delle case esistenti nella città di Faenza del 1798 l’edificio viene censito come “casa con botteghe affittate”. I locali esistenti nell’ala centrale del palazzo, fra le due corti, essendo composti da stanze medio-piccole furono facilmente adibiti ad uso residenziale, e forse per disimpegnare i relativi appartamenti fu costruita la piccola scala a quattro rampe che si vede in fondo al portico nella mappa del 1809, ed il cui vano figura ancora nelle planimetrie del 1939. In quanto al corpo principale, il camerone a pianoterra, a sinistra dell’ingresso, fu diviso in quattro botteghe piccole ed una grande: quest’ultima divenne sede della spezieria (farmacia) di S. Domenico, assieme a diversi locali di un’ala di servizio lungo via Cavour, che compare a partire dalla mappa del 1809. La spezieria si trovava in origine nel convento di S. Domenico ed era gestita dai frati, ma all’atto della soppressione del 1798 fu municipalizzata e trasferita sotto il portico del vecchio Ospedale Casadio, dove oggi si trova il Caffè Infantini (già Inter Bar, prima ancora caffè Caroli). Al piano superiore vi erano due cameroni, come riporta una perizia del 1809: essendo da sempre stati adibiti a dormitori, erano senz’altro considerati abitabili. Forse va attribuita alla Compagnia di S. Gregorio la costruzione dell’ala lungo via Cavour, che dalla distribuzione dei locali visibile dalla mappa del 1809 ha tutta l’aria di essere nata come tipico edificio d’abitazione, con corridoio centrale, stanze sui due lati e vano scale. In ogni caso, la Compagnia non ebbe sede nel palazzo, perché i confratelli si ritrovavano in alcuni piccoli locali, ancora esistenti ma sconosciuti ai più, posti in Duomo fra la cappella di S. Nevolone e quella del SS.mo Sacramento. A seguito dell’occupazione francese, la Compagnia di S. Gregorio fu trasformata in Comitato di Carità, a gestione pubblica, ed in seguito unita all’ex Compagnia di S. Giovanni Decollato a formare la Congregazione di Carità (Decreto del 05/09/1807 e Regolamento del 25/11/1808). La Congregazione, incaricata dell’amministrazione dei quattro orfanotrofi della città, propose di riunirli in due soli edifici per risparmiare sulle spese e vendere gli altri due per pagare parte dei debiti contratti col demanio statale.

Pianta del 1813 con destinazione d'uso dei locali:
Orfanotrofio maschi, Orfanotrofio femmine,
Spezieria detta di S. Domenico, Lanificio ecc.
Da: Lorenzo Savelli,  Faenza il Rione Verde, Faenza 1997.


     Il Viceprefetto diede la sua approvazione in data 16/11/1810, e così la porzione di fabbricato che apparteneva all’ex Compagnia di S. Gregorio fu ceduta, nel 1813, al nuovo Orfanotrofio Maschi. Nel contempo, l’altra porzione del vecchio Ospedale apparteneva ai fratelli Tassinari, eredi di Girolamo, che però ad un certo punto per problemi finanziari non furono più in grado di pagare al Seminario le rate stabilite nel rogito del 1781. La casa fu così messa all’asta dal Tribunale Dipartimentale di Forlì, ed aggiudicata alla Congregazione per £. 20.050 in data 18 febbraio 1813. Alla fine di agosto di quello stesso anno, la Congregazione trasferì i suoi uffici nell’ex casa Tassinari, e l’ex Ospedale rimase così diviso fra l’Orfanotrofio Maschi ad est e la Congregazione ad ovest. Un registro catastale (Catasti, vol. 267) risalente al 1813 circa, subito prima di questi eventi, segnala la proprietà Tassinari come casa affittata e ad uso proprio, con tre botteghe affittate. Nel 1815 Faenza ritornò sotto il dominio Pontificio, e con Motu Proprio del 26/09/1821 Pio VII abolì la Congregazione di Carità trasformandola in Amministrazione di Beneficenza, regolata da norme ispirate all’antica gestione della Compagnia di S. Gregorio. Nel frattempo, l’Orfanotrofio Maschi trovò nuovi locali in cui trasferirsi, e nel luglio 1822 si accordò con l’Amministrazione di Beneficenza per cederle la porzione del palazzo che esso occupava. Si dovette però attendere il completamento dei lavori di ristrutturazione della nuova sede (oggi palazzo delle Esposizioni), e solo nel novembre 1825 l’Amministrazione prese possesso della porzione est del palazzo, che poté così essere nuovamente riunita all’altra sotto la stessa proprietà.

     Si iniziò quindi a pensare ad una ristrutturazione generale dell’immobile, prima con un progetto dell’Ing. Magistretti (1828), poi con altro dell’Arch. Filippo Antolini di Bologna (1853). Anni di crisi economica, e gli sconvolgimenti del 1848, furono la causa dell’allungarsi dei tempi di realizzazione. I lavori iniziarono nel 1853, e consistettero in improrogabili interventi di consolidamento del loggiato sul corso (fra l’altro, una delle colonne era fratturata); nel 1854 fu inoltre restaurata la spezieria, aprendo anche dei finestroni ad arco sotto il loggiato. Nel 1858, l’esecuzione degli ornati in cotto intorno alle arcate del portico fu affidata ai fratelli Gaetano ed Eugenio Saviotti per la somma di 90 scudi. Nel 1859 i lavori erano ancora in corso, quando Antolini morì e suo figlio assunse la direzione dell’opera. Ancora una volta gli eventi politici italiani (caduta del governo papale e nascita del Regno d’Italia) interruppero la ristrutturazione. Nel frattempo, fino dal 1850 una parte dei locali prospettanti sul cortile est fu affittata all’Asilo Infantile, fondato tre anni prima dal Cav. Giovanni Ghinassi. Quattro anni dopo però il contratto fu disdetto, perché la Congregazione aveva intenzione di utilizzare quei locali per l’Ospitaletto delle Abbandonate (che aveva sede in una casa in via Pascoli e soffriva per carenza di spazi). Nel 1855 furono perciò svolti alcuni lavori a questo scopo. L’Ospitaletto ebbe però vita breve, e fu abolito nel 1863: l’Asilo Infantile tornò così ad occupare gli stessi locali, godendo pure del risultato della ristrutturazione.    

Il Palazzo della Beneficenza nel 1910.
     Nel 1870 fu finalmente possibile riprendere i lavori di ammodernamento del complesso, che culminarono nel 1872 con la sopraelevazione dei locali sopra il loggiato, la cui linea di gronda prima raggiungeva appena l’imposta degli archi delle finestre attuali. Furono così realizzati la serie di finestre archiacute ed il cornicione in stile neogotico, seguendo il disegno dell’Antolini (Licenze d’Ornato, 1872). Gli stemmi posti fra le arcate del portico ricordano i principali benefattori delle opere di carità, dalla fine del Cinquecento alla metà dell’Ottocento. Nel 1873 iniziò l’opera di regolarizzazione delle porte delle botteghe affacciate sotto il portico sul corso, partendo dalla porta della farmacia che ancora occupava il locale d’angolo con via Cavour e solo nel Novecento fu sostituita dal caffè Caroli.Tale porta fu leggermente spostata, fino a situarsi al centro della seconda campata del portico, e lo stesso fu via via eseguito anche per le altre botteghe, ove necessario (Licenze d’Ornato, 1873 e 1884). Nel 1884 fu eliminato l’antico Fonte della Beneficenza, addossato al pilastro del portico in angolo con via Cavour e che risaliva al 1621, essendo parte integrante ed originale dell’Acquedotto del Paganelli.

Il Palazzo della Beneficenza, oggi.
     Per non togliere alla popolazione della zona la comodità dell’acqua, una nuova fontanella fu posta in via Cavour, dentro un nicchione neoclassico vagamente simile al Fontanone. Essa rimase fino al 1933, quando le Opere Pie (nuova denominazione dell’Amministrazione di Beneficenza) vollero aprire un portone sul posto della nicchia (attualmente vi è l’accesso al cortile dell’ex Asilo); la fontanella fu salvata da Piero Zama, che la fece trasportare nel primo chiostro della Biblioteca dove ancora si trova. Come risulta dal raffronto fra le mappe catastali del 1875 e 1895, in quel periodo fu ristrutturata ed ampliata l’ala situata lungo via Cavour, abbattendo le stanze che si affacciavano sul cortile interno e costruendo al loro posto un unico salone; il vano era pure più largo, perché il muro verso la corte fu spostato a ovest di circa due metri. Sopra al nuovo salone (che penso fungesse da refettorio o teatrino) fu ricavato un altro grande ambiente ad uso dell’Asilo, poi suddiviso in aule. Qualche anno dopo, forse intorno al 1900, sul lato nord del cortile dell’Asilo fu realizzato un portico per consentire il transito al coperto dall’ala centrale al nuovo salone. Anche nel corso del Novecento vi furono nuove ristrutturazioni ed ammodernamenti, legati alle esigenze degli uffici delle Opere Pie e dell’Asilo. L’opera di maggior rilievo fu la risistemazione dell’ingresso delle Opere Pie nel 1928, con la ricostruzione del loggiato e dello scalone che davano accesso agli uffici. Anche l’altro loggiato, sul lato sud dello stesso cortile, fu ricostruito probabilmente negli anni Trenta del Novecento.
    Il loggiato settecentesco sul lato ovest del cortile dell’Asilo fu invece murato nel secondo dopoguerra, dato che nelle planimetrie del 1939 risulta ancora aperto. Contemporaneamente, fu demolito il corpo scale tardo settecentesco posto in fondo al medesimo loggiato; già da tempo però la scala era scomparsa, e sostituita da un blocco di servizi igienici disposti a colonna sui due piani. Nel 1956 il caffè Caroli fu ristrutturato. Negli anni Settanta, i locali posti nel corpo cinquecentesco ed al piano superiore dell’ala centrale furono occupati dal Consorzio sociosanitario, poi USL 37. In seguito, prima l’Asilo poi le Opere Pie abbandonarono il complesso che, dopo alcuni anni di abbandono, intorno al 2007-2009 è stato integralmente restaurato e adibito ad abitazioni, uffici e negozi.

Fonti bibliografiche e documentarie.
Il volume Brefotrofio e Orfanotrofio, di D. Giulio Foschini, Faenza 1992, pagg. 77-79, 92.
Il volume La Congregazione di Carità di Faenza, di Guglielmo Donati, Faenza 1958, pagg. 141-143, 156-159, 255-257.
I seguenti documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Faenza:
Catasti, Tabella delle case esistenti nella città di Faenza (1798)
Catasti, Caseggiato vol. 347 (1800)
Catasti, vol. 267 (1813 ca.)
Carteggio del Comune, Licenze d’Ornato nelle buste 264, 661, 675, 783, 848.
Notarile, vol. 4727, pagg. 143-149 (1781).
Fondo ECA, busta 2771, fasc. 2.
Planimetrie catastali del Catasto Urbano, 1939, dall’archivio delle Opere Pie.



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