La "sala interna" di Porta delle Chiavi

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
Home
 Monumenti



Porta delle Chiavi

Dal volume: Le mura di Faenza di Stefano Saviotti,  con adattamenti

Quella che oggi conosciamo come porta delle Chiavi, non ebbe sempre questo nome: l’antica denominazione era Porta dell’Ospitale, essendo vicina all’ospizio sorto nel Medioevo e gestito dai Cavalieri di Malta presso la Commenda, e che si trovava  all’attuale civico 110 di corso Europa. Già nella Descriptio Romandiole del 1371 si parla di Porta dell’Ospitale, custodita da un capitano con due soldati, solo che allora la cinta del Borgo era più piccola e quindi la porta si trovava nei pressi di via Pompignoli. In seguito all’ampliamento manfrediano, essa fu ricostruita più avanti, incorporando nel Borgo la Magione, cioè la Commenda. Fra tutte le porte, questa è l’unica ad essere giunta sino al nostro tempo, anche se il suo aspetto è molto diverso da quello originario. A livello delle finestre si possono infatti notare dall’esterno (in particolare sui fianchi) tracce evidenti delle basi di mensole in mattoni, dette beccatelli, che la coronavano in passato in maniera analoga alle Porte Montanara e Ravegnana. A loro volta, i beccatelli indicano la presenza in antico di una soprastante terrazza con merlatura. A differenza di Porta Montanara però, questi beccatelli erano presenti su tutti i lati del fabbricato, ed entrambi i fornici della Porta sono archi a tutto sesto contornati da una ghiera in mattoni detta bardellone.


Porta delle Chiavi oggi.
Durante il Cinquecento la merlatura fu demolita, e il terrazzo superiore sostituito da un tetto a quattro falde posato sopra i beccatelli, come evidenziato dalla mappa del 1630 di Virgilio Rondinini. Tale mappa indica pure che due alti muri proteggevano il ponte sul fossato, che terminava con un arco coperto da tettoia. Nello stesso anno 1630, in corrispondenza di quell’arco venne collocato un cancello a maggior difesa della Porta; all’epoca esisteva già anche la Gabellina, consistente in una bassa casupola posta all’interno della cinta, sul lato nord della strada, dove ora c’è il passaggio pedonale. Di fronte alla Gabellina, sul lato opposto della strada vi era la casa del portinaio, con orticello retrostante che si prolungava sul terrapieno delle mura. Nel 1722 la Gabellina fu affittata al portinaio, Sebastiano Dalmonte, per 80 baiocchi l'anno a condizione che in caso di necessità (tipo riscossione del dazio o motivi di sicurezza) lasciasse il locale a disposizione del Comune. Nel corso del Settecento il nome antico fu progressivamente abbandonato, in quanto l’ospedale medioevale era scomparso ormai da due secoli; nel 1762, all’altro capo della città, si inaugurò il nuovo Ospedale degli Infermi, e la vecchia denominazione perse così ogni significato. Un documento del 1709 fa luce sull’origine del nome attuale: si parla infatti dell’Osteria delle Chiavi, vicino Porta dell’Ospitale. L’osteria si trovava appena fuori porta, tra le attuali vie De Gasperi e della Malta, ed un disegno di Romolo Liverani la raffigura come un edificio porticato. In seguito il portico fu demolito, e l’edificio prese il nome le Osteriacce; fu purtroppo distrutto dal primo bombardamento del 2 maggio 1944. Altre versioni sul nome della Porta, che fanno capo a donazioni di chiavi della città a papi o personaggi illustri di fronte ad essa, non hanno pertanto fondamento.
Ma torniamo indietro nel tempo: il 10 agosto 1766 un incendio danneggiò la Porta e distrusse la casa del custode. Il capomastro Angelo Pasolini eseguì il restauro nella primavera 1767, con la spesa di 130 scudi ed utilizzando materiali recuperati dalla demolizione di un locale addossato a Porta Ponte. Porta delle Chiavi assunse così un aspetto molto simile a quello attuale: demoliti i beccatelli, la parte superiore dell’edificio fu rifatta interamente, quindi la sala dove ci troviamo risale a quell’anno. Due finestre architravate, aperte sui lati maggiori, illuminavano la sala, resa accessibile anche dall’interno della casa del custode, quest’ultima ricostruita su due piani e con quattro stanze. Una perizia redatta nel 1806 descrive l’edificio: vi si accedeva da una porticina (oggi murata) sotto la Porta. Al pianoterra comprendeva una cucina, una cantina col pozzo, una bottega, ed un cortiletto con un basso portico. Al piano superiore vi erano due stanze, e tramite una finestrella si poteva entrare nella sala superiore della Porta, coperta con tetto arellato (cioè con il cannicciato al posto delle tavelle).
A partire dall’occupazione francese il Borgo Durbecco rimase escluso dalla cinta daziaria, in quanto privo di una cerchia muraria integra che consentisse un efficace controllo delle merci in entrata. La Gabellina fu pertanto abolita, e al termine del contratto con l’ultimo custode anche la relativa casa fu venduta. Acquirente fu Francesco Conti, che versò 3200 lire milanesi. Nel 1817 alcuni abitanti della zona chiesero il ripristino del portone, per maggiore sicurezza contro i malviventi che entravano nottetempo. Il Comune però rispose che questa misura era inutile, a causa della mancanza della cinta in altri luoghi del Borgo. Un documento del 1819 descrive l’ex Gabellina: era una casetta con una sola camera dotata di camino, porta e due finestre con scuroni, ma senza vetri. Il tetto, in rovina, fu restaurato nel 1824 e il locale affittato a privati. Il prospetto della Porta verso Forlì fu modificato nel 1837, aprendo due finestre ad arco al posto di quella rettangolare; ciò fu necessario per collocare in posizione centrale il pannello in cotto con la Madonna delle Grazie.



Avanzi dei beccatelli che reggevano la merlatura.
Dettaglio della volta con  la bottola di accesso originale alla sala interna.
La facciata fu inoltre intonacata, come risulta da una vecchia foto. Nel 1842 si scoprì che il falegname Luigi Frontali utilizzava l’ex Gabellina come laboratorio senza pagare alcun affitto, ma per oltre due anni il Comune non osò cacciarlo. Finalmente nel 1844 la camera fu restaurata, e solo dopo che alcune persone si offrirono di subentrare regolarmente a Frontali questi si rassegnò a pagare il canone. Nel 1899, morta una vedova che vi abitava da anni, il locale fu nuovamente restaurato ed adibito a deposito del cantoniere che sistemava la strada Maestra del Borgo. Dodici residenti dei dintorni chiesero al Comune nel 1878 di abbattere Porta delle Chiavi, perché il passaggio era troppo stretto; la petizione fortunatamente non ebbe seguito.Gli atti comunali non riportano altre notizie fino al 1919, quando Maria Grilli (proprietaria dell’ex casa del custode e della sala superiore della Porta) chiese di ricostruire il coperto fatiscente e di adattare la stanza da magazzino ad abitazione, senza modificare i prospetti esterni. Il Comune diede il proprio assenso ma non volle concorrere alla spesa del coperto, sostenendo di non essere proprietario del fabbricato ma di esercitare solo una servitù di passaggio sotto l’arco. Questa sala fu pertanto suddivisa in più stanzette mediante dei divisori, di cui si vede ancora l’impronta sul pavimento. Nella cucina fu costruito un caminetto, ed un acquaio in un angolo. Le camerette furono intonacate e controsoffittate, e dotate di pavimenti in tavelline fatte a macchina. Alle finestre vennero naturalmente messi degli infissi con i vetri. Nel 1926 il Comune pensò d'abbattere la Porta per allargare la via Emilia, ma la proposta si arenò nuovamente. Solo nel 1935 fu realizzato un varco pedonale sul fianco nord della Porta, con la spesa di 3630 lire più altre 1600 per l’esproprio di 46 mq. di terreno dai Sig.ri Pozzi. Il Direttore dei Monumenti e Scavi protestò contro la delibera del Commissario Prefettizio, in quanto non aveva chiesto il necessario nulla-osta. Gli risposero che si era proceduto ad abbattere solo un tratto di muro d'epoca recente, e che la breccia era provvisoria, per evitare ai pedoni di essere travolti passando sotto lo stretto arco della Porta (ovviamente il varco “provvisorio” esiste ancora oggi).



La sala interna di Porta delle Chiavi oggi.
Il 3 novembre 1936 fu deliberata l’apertura di un varco carrabile sull’altro lato della Porta, ma i lavori ebbero inizio solo il 2 settembre 1938 sotto la direzione dell’Ing. Giovanni Antenore. L’opera comportò la demolizione di alcuni fabbricati di corso Borgo Durbecco appartenenti alle famiglie Giunchedi, Bosi, Tassinari e Grilli, compresa l’antica casa del custode. Il lavoro fu appaltato alla Nuova Cooperativa Braccianti, Carrettieri, Muratori e Affini, e comprese anche il restauro della Porta e la costruzione del marciapiede laterale. Vennero così abbattuti i tramezzi e i controsoffitti interni, riportando la sala superiore alla sua grandezza originaria. Si spesero in tutto 62.314 lire, in parte rimborsate al Comune nel 1941 dall’Azienda Autonoma Statale della Strada, che versò un contributo di 24.990 lire per aver facilitato il traffico sulla via Emilia. I bombardamenti risparmiarono Porta delle Chiavi, e il precipitoso ritiro dei tedeschi oltre il fiume forse la salvò anche dalle mine. La ricostruzione trasformò totalmente l’aspetto del Borgo, e il raddrizzamento della strada principale creò l’attuale rettifilo, che consente di vedere la Porta da lontano. Nel 1969 la Filodrammatica Berton, rappresentata da Giuliano Bettoli, chiese d'ottenere come sede questa sala, sistemandola a proprie spese e costruendo una scala d’accesso esterna. La risposta della Soprintendenza si fece attendere sino al 1971, e fu negativa. Nell’aprile 1986, in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II a Faenza, fu posta su un pilastro della Porta una targa commemorativa in terracotta, scoperta ufficialmente il 10 maggio, giorno del passaggio del Pontefice. Per migliorare l’estetica, furono ripulite le due spallette dell’arco, prima dipinte a strisce bianche e nere a scopo segnaletico. La Porta esternamente è in buone condizioni; la sala superiore è in disuso, essendo accessibile solo dalle finestre tramite elevatore con cestello.

Stefano Saviotti


Home
 Monumenti