Una multa e la prigione a chi nuoce alla Fontana

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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L'editto del 1779 sul Fonte pubblico

Una multa e la prigione a chi nuoce alla fontana

Angelo Emiliani

Sassi, legno, biancheria da lavare, interiora di animali, immondizia: finiva di tutto nella vasca. Col risultato di inquinare l'acqua e avvelenare le bestie. Mano pesante contro i colpevoli.
 

Quella che per i faentini è semplicemente la fontana della piazza, anticamente si chiamava il  «Fonte pubblico». Le sue origini risalgono ai primi decenni del 1600, periodo nel quale il centro della città venne assumendo le caratteristiche architettoniche giunte pressochè invariate fino ai giorni nostri. Sorsero in quegli anni la Torre dell'orologio, il Portico degli 0refici - vale a dire la loggia di fronte al Duomo - i palazzi Mazzolani e Ferniani, le chiese del Suffragio e di S. Maria dell'Angelo. E, appunto, la fontana, inaugurata nel 1621. La sua costruzione, voluta dal cardinale Rivarola, si deve ai progetti di padre Domenico Paganelli per la parte idraulica e di Domenico Castelli per quella monumentale in stile barocco, con in bell'evidenza i tre leoni rampanti in bronzo simbolo della città.
Nei quasi quattro secoli, di vita, la fontana deve averne visto e subite di tutti i colori, spesso per colpa degli stessi faentini. A prenderne le difese, con un «bando» del 10 maggio 1779, fu Luigi Valenti Gonzaga cardinale della Provincia di Romagna ed Esarcato di Ravenna, legato a latere. «La riguardevole spesa - si legge nell'avviso a stampa - della quale  si gravò la Comunità di Faenza nella Costruzione del Fonte in vicinanza della pubblica Piazza per comodo de' suoi cittadini, e di abbeverare i Cavalli, ed altri Animali, e la continuazione del dispendio che apporta il di lui mantenimento, hanno sempre meritato il pensiero di quei Pubblici Rappresentanti, e dei quattro Deputati dal Generale Consiglio specialmente destinati ad invigilare sopra la conservazione non solo del Merccanismo, ma della pulizia, e salubrità dell'acque del Fonte predetto, e conoscendo essi l'inutilità delle spese, e loro premure, se non si ripara opportunamente dai pregiudizi che da un tempo a questa parte vengono apportati al fonte....».



Sezione Archivio di Stato di Faenza - Bando anno 1779  su Fonte Pubblico in Comune di Faenza Archivio della Magistratura Bandi , stampe, editti, Vol. 2. Tratto dal CD Il Fonte Monumentale, di Steafano Saviotti - Miro Gamberini. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Archivio di Stato di Ravenna, autorizzazione n. 9/2007.


La lunga premessa, abituale nel linguaggio dell'epoca, prelude alla denuncia dei comportamenti che stanno minacciando il significato e l'utilità della fontana. «Uomini e Donne, senza riguardo, gettano sassi e immondizie nelle Vasche, ed Abbeveratoi chiudono li buchi che tramandano l'acque, concorrono a lavare bucati, a ripulire ventriccoli d'Annimali, lavare erebaggi, pelare uccelli e a fare tante altre operazioni, che singolarmente sono atte a rendere non solo sporche, ma insalubri le acque, e pregiudizio al materiale della Macchina, rompendo li ferri che la contornano, e li Fittoni di Sasso che le servon di riparo per l'allontanamento degli ordegni con legarvi Animali Bovini, Cavallini e di altre qualità». E' ora di smetterla - aggiunge nella sostanza il cardinale legato - non si possono tollerare oltre «simili pregiudizi ed abusi». Il bando proibisce quindi di gettare nella vasca e negli abbeveratoi sassi e pezzi di legno, di stendervi biancheria e stoffa, di otturare le fontane, di spennare nelle sue vicinanze uccelli e polli. Chi si renderà responsabile del benchè minimo sospetto di arrecare danni al «Fonte, e alle di lui acque ed annessi», incorrerà nella pena, oltre che del carcere, «di scudi dieci per ciascuna volta e per ciascuna persona». L'introito di quelle che oggi chiameremmo le multe dovevano andare per un terzo «allo Spedale dei Projetti (i bambini abbandonati) della Città stessa, l'altro terzo al Giudice eseguente, e l'altro terzo all'Accusatore». E ancora: «Non sarà assolto alcuno, se non dopo rifatto il danno quatenus ne abbia dato colla di lui deliquenza alla Comunità, e quanto all'Accusatore (in pratica chi ha denunciato il reato e il colpevole) dovrà tenersi segreto, e procedersi per Inquisizione in ogni miglior modo più proficuo al Fisco». C'era poco da scherzare.

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