Castel Raniero, ospizio ospedale e poi colonia

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Castel Raniero, ospizio ospedale e poi colonia

di Sandro Bassi


   Fra le celebrazioni settantennali della seconda guerra e della liberazione di Faenza va inserita anche la singolare vicenda della Colonia di Castel Raniero in cui nel 1944 vennero trasferiti quasi tutti i reparti dell'Ospedale Civile che dopo i bombardamenti di maggio era divenuto oltremodo insicuro. E' una ragione in più che accresce quel «debito di riconoscenza » che la città deve nutrire nei confronti di questo edificio, il quale oltre al ruolo sociale come colonia estiva per bambini svolse anche il compito di salvare vite umane in quel doloroso 1944. Si dirà che nell'impossibilità di recuperare materialmente l'immobile (impossibilità a cui, vista l'attuale situazione finanziaria dei Comuni, bisognerà prima o poi rassegnarsi), il debito di riconoscenza si riduce a qualcosa di puramente memoriale e purtroppo è così, con la riserva del suggestivo parco retrostante che, a differenza della Colonia, continua a vivere e potrà anzi in futuro esser utilizzato con poca spesa e grande resa. Ma queste sono considerazioni che vedremo poi e che vanno precedute da una sintesi della travagliata storia dell’edificio, non tanto il più bello della zona (ci sono le imbattibili ville ottocentesche, a partire dalla Rotonda), quanto più ricco di ricordi umani.

Castel Raniero, quando funzionava come colonia.


Castel Raniero, in fase di ristrutturazione, anni 1950 circa.

     Monumento ai caduti
    La Colonia si inserisce in quel clima di evocazioni e celebrazioni che investirono tutta l’Italia dopo la Grande Guerra. E' noto come una delle prime leggi del governo Mussolini, nel 1923, prevedesse l'obbligo per tutti i comuni italiani di erigere consoni monumenti ai Caduti. Accantonando per un attimo l'opportunismo di Benito che cosi facendo si impossessava astutamente di un tema collettivo assai sentito, va detto che Faenza è una delle poche città italiane a non avere un monumento vero e proprio, sostituito da un Viale delle Rimembranze (inaugurate nel 1924 con 276 pini dedicati agli altrettanti Caduti in combattimento; va precisato che il computo globale di tutte le vittime, includendovi i dispersi, i feriti morti in un secondo tempo e i prigionieri che non tornarono, risultò circa il triplo) e da una chiesa storica, quella di San Bartolomeo, di cui fu ultimato il restauro e che fu adibita appunto a Tempio dei Caduti. Essa conserva tuttora una parte di memoria fisica (le spoglie di coloro che furono tumulati qui) e l'elenco completo, sulle lapidi dell'interno, di tutti i Caduti faentini: il computo complessivo nell'anno di inaugurazione, 1930, era infatti ovviamente disponibile. Tuttavia la municipalità faentina, fin dal 1922 (e quindi prima dell'obbligo governativo, come peraltro molte città italiane), delibera l'erezione di un vero monumento ai Caduti.
   
     Si tratta dell'iniziativa di un Comitato che raggruppa le locali associazioni di mutilati e reduci e in cui è entrato anche il Comune con la non trascurabile somma di 50mila lire. Una complicata vicenda successiva, non priva di polemiche e personalismi (coinvolge Domenico Rambelli, lo scultore che poi eseguirà i monumenti di Brisighella e Viareggio) fa arenare la pratica, ripresa dopo il 1925 ma con l'obiettivo di creare non più un monumento, ma «un'opera di pubblica utilità». Si cerca quindi un terreno su cui costruire una colonia elioterapica per i bimbi «bisognosi di sole e di luce» (quindi gli «scrofolosi e i pellagrosi» e tutti i vari malnutriti dell'epoca, che non sono pochi), in particolare per gli orfani di guerra, anch'essi nient'affatto pochi.
La scelta cade su 13 tornature di terreno in via Rinaldina, acquistate nel 1927 stornando il gruzzolo raccolto fin dal 1922. Mentori sono il chirurgo-mecenate Alberico Testi e il dottor Antonio Bucci.


Castel Raniero.
    Il progetto viene affidato al giovane ingegnere comunale Giovanni Antenore che sforna prima una versione più elaborata (1926), poi una più semplificata, per ragioni di costo (1928). Essa associa materiali moderni e funzionali (mattoni industriali e cemento armato) con un disegno classico riesumante echi ravennati-bizantine, soprattutto nella torretta centrale con elegante altana a loggette. D'altronde anche le dimensioni sono monumentali: 44 m in lunghezza per 18 in larghezza per 27 di altezza alla torretta. Le enormi camerate interne hanno una capacità di 120 posti letto. Naturalmente i soldi della colletta non bastano: nel maggio 1929 il comitato chiede al Governo un finanziamento ottenendo un diniego e nel novembre dello stesso anno i lavori, già a buon punto - il grezzo è pressoché completo - vengono interrotti. Per otto anni l'ospizio resta privo di infissi, che verranno aggiunti solo nel 1938 dopo la visita del Duce, il quale sembra - qui le versioni divergono - aver elargito di tasca propria 20mila lire. Nel 1944, come detto, qui viene trasferito l'Ospedale; nel 1957 vengono svolti importanti lavori di riparazione, dopodiché la struttura funziona a pieno ritmo come colonia infantile estiva. Altre tappe da ricordare: nel 1984 il memorabile concerto degli allora misconosciuti Litfiba chiamati dal Wwf per la prima edizione di «Rock Verde»; nel 1999 lo scioglimento dell'Ente Ospizi Marini e Montani che aveva gestito la struttura e che dona la stessa alle Opere Pie. 



Castel Raniero. La torretta centrale con la raffinata altana a loggette
   Il parco
 
 Teatro delle scorribande dei piccoli ospiti della Colonia, il parco si sviluppa sul retro dell'edificio, con prato e sottostante pendice boscosa fino al fosso affluente del Rio Biscia. Questa porzione di terreno, per abbastanza complesse ragioni storiche e naturali (riassumibili nelle peculiarità dei suoli della zona, non adatti a tutti i tipi di colture e sostanzialmente sabbiosi, freschi e calciocarenti, cioè acidi), nonché per via dell'esposizione verso nord, ospitava un piccolo ma significativo castagneto. Quest'ultimo è oggi quasi del tutto scomparso, sostituito però da un discreto bosco spontaneo di querce, carpino nero e orniello. Anche grazie ad alcune rarità floristiche (dente di cane, anemone nemorosa e anche la felce «dolce» che cresce sui tronchi morti di castagno), il bosco si configura come un relitto prezioso, alla stregua degli altri di tutta la zona Castel Raniero-Olmatello.

  Completamente diverso il prato, che assolveva a funzioni ricreative e che era ed è tuttora circondato da una bordura di pini domestici e cipressi di bell'effetto paesaggistico. Dopo un lungo abbandono la distesa erbosa è stata recuperata dai volontari dell'associazione «Amici del Fontanone» seguiti dal Servizio Giardini del Comune di Faenza. Al centro viene sfalciata l'erba, con rilascio selezionato di alcuni alberi e arbusti nel frattempo insediatesi (sorbi, ornielli, roverelle, ecc.) mentre ai bordi, più o meno sotto i pini, c'e la più bella stazione in Romagna di cisto a fiori bianchi (Cistus salvifolius) che conferisce al luogo un fascinoso aspetto da macchia mediterranea. Ancor più ai bordi, sotto i residui di recinzione che non servono più, ci sono gruppi di due magnifiche rose selvatiche, Rosa gallica a fiori fucsia e R. sempervirens, bianca. Sono fra le progenitrici delle rose coltivate, sono frugalissime e vivono senza irrigazione ne concimi ne trattamenti. Qualunque futuro riutilizzo di questo spazio che sta tornando ad esser fruibile e che peraltro è vincolato da numerosi strumenti di protezione territoriale, dovrà tener conto delle sue più autentiche risorse: non potendosi conservare quelle dell'uomo (le pietre) andranno doppiamente conservate quelle della natura.

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